Bisogna scorrere fino in fondo il testo dell’accordo inviato dal governo Tsipras all’Eurogruppo e soffermarsi su una parolina, al decimo e ultimo punto, sotto la voce «privatizzazioni»: Hellinikon. Poi, cartina dell’Attica alla mano, cercare l’indirizzo dell’ex aeroporto ateniese, ex base Nato ed ex sede dei Giochi del 2006, spingersi tra recinzioni militari usurate, campi da baseball dove non gioca più nessuno da tempo e cattedrali olimpiche nel deserto, per cominciare a dare un volto concreto al nuovo accordo che, al netto dei mal di pancia reciproci, Grecia ed Europa si apprestano ad approvare.

L’ex scalo alla porta sud della capitale ellenica rischia di diventare una delle principali grane per Tsipras: eredità scomoda dell’ultimo Memorandum che ha costituito la tomba politica dell’ex premier (e leader di Nea Democratia) Antonis Samaras, è uno dei capitoli più spinosi del piano Tsipras. Quella per impedire la svendita di Hellenikon per Syriza è stata infatti la madre di tutte le battaglie contro le privatizzazioni imposte alla Grecia da Banca mondiale, Fmi e Commissione europea. Ha coinvolto cittadini comuni, militanti di sinistra, ambientalisti e politici della gauche più radicale, impegnati a evitare non solo la vendita a prezzi di saldo, ma pure la più gigantesca lottizzazione dell’era della troika: quasi 700 ettari di terreni, comprese spiagge, porto turistico e area archeologica.
Il possibile acquirente c’è fin dai tempi del governo Samaras, quando l’intera area fu inserita nel Memorandum e affidata all’Ente greco per le valorizzazioni delle proprietà di Stato (Taiped), al quale fu affidato il compito di vendere l’argenteria di famiglia: si chiama Spyros Latzis ed è un banchiere, armatore figlio di armatori, petroliere, immobiliarista. Una laurea alla London School of Economics, Latzis è anche il proprietario della Eurobank, uno dei principali istituti di credito greci, ma con sede in Svizzera, che rischia di saltare senza accordo con i creditori. Secondo le stime della rivista Forbes, che lo ha collocato al cinquantacinquesimo posto tra gli uomini più ricchi al mondo (e al secondo in Grecia), il suo patrimonio ammonterebbe a undici miliardi e mezzo di dollari, quanto vale l’intera manovra presentata ieri da Tsipras all’Europa.

Stiamo parlando insomma di un potente che ora rischia di tornare alla carica anche se non si troverà certo di fronte un governo amico e non potrà neppure più contare su José Manuel Barroso, ex presidente della Commissione europea e tradizionale ospite del suo yacht tax free. Non fosse caduto il governo Samaras e non fosse accaduto che nel frattempo i cittadini di Hellenikon, spalleggiati da Syriza, avessero occupato una parte dell’ex aeroporto e della base militare per farne orti urbani, tirar su un oliveto con duemila piante e un ambulatorio sociale per gli abitanti del circondario, il superbanchiere amico di Barroso e intimo della regina Elisabetta d’Inghilterra sarebbe già riuscito nell’intento di espropriare quest’area abbandonata (la struttura della Nato è stata dismessa nel ’91, l’aeroporto è stato chiuso nel 2001 e le Olimpiadi sono passate come una meteora nel 2004) per farne lussuose abitazioni private per vecchi e nuovi ricchi, nonché centri commerciali, casinò e alberghi di lusso per turisti.

Vassilis Primikilis mi aspetta all’ingresso del mini-ospedale messo in piedi nell’area dell’ex base. Sono ore difficili per Syriza, lacerata dal dilemma se accettare o meno il compromesso con i creditori, e lui è un autorevole esponente del comitato centrale, in quota alla Piattaforma di sinistra, la minoranza interna dibattuta tra un difficile sostegno e un rovinoso no che farebbe saltare tutto spaccando irrimediabilmente il partito e spedendo con ogni probabilità la Grecia verso nuove elezioni. Quello che vuole mostrarmi non è solo uno delle decine di ambulatori sociali nati negli anni della crisi per sopperire alle falle del sistema sanitario pubblico e curare chi, avendo perso il lavoro e non avendo più l’assicurazione, non ha potuto più accedere alle cure. Ma vuole mettere in evidenza una delle contraddizioni più evidenti nelle quali si imbatterà il governo Tsipras il giorno in cui si tratterà di mettere in pratica quanto scritto nell’accordo con i creditori: per lui l’ospedale è anche «un modo di impedire la privatizzazione», un cuneo piantato nel cuore delle pretese europee. Potrà mai Syriza sgomberare una sua filiazione diretta, affollata di pazienti a qualsiasi ora nonostante il nuovo ministro della Salute abbia, tra i primi provvedimenti, messo mano all’assurda situazione per cui un terzo dei greci non riuscivano a curarsi, garantendo l’accesso negli ospedali a tutti? A Hellenikon l’unico servizio sanitario è questo e ci sono buone probabilità che lo rimanga. «Da qui difficilmente ce ne andremo», dice Primikilis.

Akis Budoiannis è un ortopedico e come tutti lavora qui dentro senza ricevere nulla in cambio. Mi spiega che la struttura è nata sull’onda del poliambulatorio messo in piedi durante le proteste in piazza Syntagma del 2010 per curare i feriti negli scontri: «Nel 2011, conclusa quell’esperienza, con un pugno di medici e paramedici abbiamo deciso di costruire un ambulatorio in questa zona, per fornire un primo livello di cure a tutti quelli che non avevano l’assistenza sanitaria».

L’ambulatorio di Hellenikon è, se possibile, fondato su principi ancora più radicali degli altri: hanno rimesso in piedi una vecchia struttura militare e il Comune dà una mano con le bollette, però loro sono tutti volontari, «anche chi fa le pulizie», e non accettano denaro da nessuno, neppure per beneficenza. La struttura si regge attraverso le donazioni di materiale e di medicinali, e il mutuo aiuto, persino di chi viene a curarsi, che viene chiamato a ripagare l’assistenza ricevuta con qualche lavoretto. Ad esempio, se un idraulico arriva a curarsi i denti, è probabile che prima o poi venga cercato per riparare un lavandino, e così via. Quando arrivano soldi, vengono rispediti al mittente. «Un giorno si è presentata una coppia di tedeschi con 15 mila euro raccolti durante una sottoscrizione in una trattoria greca in Germania. Noi li abbiamo rifiutati e abbiamo dato loro un catalogo con i medicinali che ci servivano e ce li siamo fatti spedire», racconta un’altra dottoressa, Caterina Giannaki, esule in Italia al tempo della dittatura dei colonnelli.

Come si concilia tutto ciò con quella parolina al punto 10 del nuovo accordo sottoposto ai creditori? Rispetto alle altre privatizzazioni previste, dai porti di Salonicco e del Pireo agli aeroporti regionali, fino alla cessione delle quote della compagnia telefonica Ote ancora in possesso dello Stato, a Hellenikon un progetto alternativo esiste e in parte è già concretamente applicato. L’obiettivo finale è riqualificare l’intera area trasformandola in un grande parco pubblico, un polmone verde a ridosso del mare in una città, la Grande Atene in cui vive quasi metà dell’intera popolazione ellenica, che è un incredibile sprawl di cemento bianco. Per questo Primikilis dice che loro non se ne andranno da qui, rendendo visibile uno dei conflitti che agiteranno il partito nel suo rapporto con i territori nel momento in cui il nuovo accordo dovrà essere applicato.

In realtà, le poche paginette inviate da Tsipras all’Eurogruppo non spiegano cosa si farà e neppure come e quando, fatta eccezione per le annunciate e imminenti riforme delle pensioni e del fisco, grazie alla quale finalmente personaggi come Latzis dovrebbero cominciare a pagare. Ed è vero che finora Tsipras non ha favorito in nulla affaristi come il banchiere-armatore che la rivista tedesca Bild accusò nel 2010 di aver speculato sul default della Grecia e che ora vuole mettere le mani sull’area di Hellenikon, anzi li ha perseguiti politicamente e giudiziariamente, e questo è uno dei motivi principali dell’ostilità dei media greci nei suoi confronti. Così come difficilmente il governo si schiererà contro il suo stesso partito che sostiene la riconversione dell’area ed è possibile che si escogitino soluzioni di compromesso che tengano fuori gli immobiliaristi e pensino a soluzioni almeno parzialmente diverse: una cessione di alcune aree, ad esempio, a movimenti e comitati cittadini. Si tratta, con ogni probabilità, di una contraddizione indotta dalla particolare situazione in cui versa la Grecia in questo momento. Racconta delle difficoltà di Tsipras e di come nella pratica il nuovo Memorandum rischia di rimanere almeno in parte inapplicato, ma lascia intendere pure che non è detto che quel che è scritto nell’accordo vada poi in buca nel modo in cui si aspettano a Bruxelles. Primikilis, sul punto, è evasivo. Dice solo, con un sorriso: «Vedremo».