Non si può ben definire la nazionalità cinematografica di Desde Allá («Da lontano», divenuto in Italia Ti guardo) di Lorenzo Vigas, regista venezuelano che con questo suo film d’esordio ha conquistato il Leone d’oro alla scorsa Mostra del cinema di Venezia. Il suo film infatti è la somma di tante energie creative che provengono da diverse parti del continente latinoamericano, una modalità produttiva che emerge in questi ultimi anni, azzerando le barriere nazionali che dividono a volte nettamente le diverse culture e i diversi paesi.

 

Arturo Ripstein diceva che tutti gli intellettuali e i cineasti latini guardano più agli Stati uniti o all’Europa piuttosto che a un altro pese del Latinoamerica, ma che si comincia a guardare anche ai confini vicini benché ci siano differenze sostanziali («un romanzo cileno e uno equadoregno non hanno niente a che vedere» diceva).
In questo caso l’unione delle forze venezuelane, cilene e messicane hanno dato frutti originali, non ci sembra che somigli per niente al pudding europeo che un tempo serviva ai nostri registi per chiudere i pacchetti produttivi, ma piuttosto metta in moto dei lati oscuri comuni raramente affrontati. Con la produzione messicana di Guillermo Arriaga che ha lavorato anche alla sceneggiatura, il motore principale, la presenza imprescindibile di Ti guardo è la recitazione di Alfredo Castro, oggi uno degli interpreti più importanti del Latinoamerica, famosissimo attore cileno e maestro di attori, il volto del regolamento dei conti con la dittatura nei film di Larrain .

 

 

La sua presenza a Caracas contiene dei misteri che non saranno svelati, unico indizio un accento differente con il tono basso e pacato della classe alta, il comportamento defilato, nel tremendo caos cittadino fatto di urla, musica a tutto volume, stridore di traffico e combattimenti improvvisi. Lui osserva la città, si guarda intorno e va a caccia, come un predatore.

 

 

Va a caccia di ragazzini, li paga ma non vuole essere neanche toccato, sa lui come fare. L’incontro con un bulletto dai modi strafottenti sembra cambiargli un po’ la vita, ma è piuttosto quella del ragazzino a trasformarsi: vissuto senza padre in carcere da tempo e alla ricerca prima dei soldi che può ottenere, poi di un affetto mai provato. Nella vita oscura e silenziosa di Armando Marcano (Castro) vi sono segreti di famiglia sepolti nel profondo, Elder (Luis Silva) lo pesta ferocemnete al primo incontro, poi non resiste alla rete che pazientemente Armando tesse per qualche suo oscuro disegno. Sembrerebbe che lo spinga un sentimento di protezione, ma troppo forte appare il suo spaesamento di fronte al prossimo, incapace di avere rapporti emotivi. In questo Alfredo Castro è irraggiungibile, dopo essere riuscito ad essere il volto dei lati più oscuri della dittatura nei film di Pablo Larrain (da Tony Manero a Post Mortem a No, i giorni dell’arcobaleno), qui controlla le sue espresisoni facciali al millimetro, basta l’inquadratura di mezzo occhio ad aprire un mondo intero (non a caso è stato ritratto così anche nel poster del film), rispetto all’esuberanza popolana del ragazzo che crede di essere per questo un vero macho.

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Il resto della città resta fuori dal loro rapporto, spesso cancellato dalle riprese che mantengono volutamente le distanze, con volute sfocature (famoso direttore della fotografia è il cileno Sergio Armstrong, che ha illuminato tra l’altro anche i film di Larrain).

 

Primo di una trilogia sui rapporti tra padre e figlio iniziata con un cortometraggio e che proseguirà con un secondo film,Lorenzo Vigas dice di essere ossessionato da questa tematica anche se con suo padre, un famoso artista plastico, ha un ottimo rapporto. «Veniamo da una terra in cui il padre non è presente, – dice – Vivere in Venezuela è sempre più difficile. La questione degli orfani è legata alla situazione attuale, i ragazzi vanno per strada a cercare opportunità per vivere, come anche in altri paesi del Latinoamerica. Il mio protagonista per la prima volta ottiene quello che non ha mai avuto».

 

 

In parecchi film dal Venezuela e da altri paesi si parla di omosessualità, un tema respinto dalla società: «Si tratta di un film sulle carenze emotive, il ragazzo si sarebbe affezionato allo stesso modo anche a una anziana signora che lo avesse trattato con affetto. Le nostre sono società maschiliste dove il padre è assente e l’omosessualità è rifiutata. Mi sembrava interessante fare entrare questo tema in quello della carenza affettiva». E Alfredo Castro aggiunge: «Questo film ha superato il tema dell’omosessualità, ha analizzato la vendetta, il timore, la lotta per la sopravvivenza quotidiana».