Si allontana sempre più la possibilità di aver anche in Italia una legge sulle unioni civili. Saltata ormai la scadenza – promessa da Matteo Renzi – di arrivare all’approvazione del ddl Cirinnà entro l’estate, appare difficile, se non impossibile, che il testo possa essere licenziato a ottobre, mentre la maggioranza parla già di provvedimento licenziato entro al fine dell’anno ma come spesso accade quando si tratta di diritti civili, il governo Renzi è prodigo di annunci a avaro di fatti concreti specie se deve fare i conti, come in questo caso, con l’opposizione del Ncd di Alfano che vede nel testo in discussione un’equiparazione tra matrimoni gay ed eterosessuali nonché il via libera all’adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali. Naturalmente non è così, come Renzi sa bene, ma intanto blocca i lavori della commissione.
Nonostante le tante promesse (la prima volta che assicurò l’approvazione di una legge sulle unioni civili Renzi non era ancora segretario del Pd) il ddl rischia di finire ancora una volta impantanato. Anche perché, e questo è forse il vero motivo per cui il Pd non forza più di tanto la mano, in ballo ci sono le riforme costituzionali a cui il premier tiene più di ogni altra cosa e la cui approvazione al Senato è prevista per la metà di ottobre. Prima di allora, per non rischiare di irritare l’alleato di destra, di unioni civili non se ne parlerà neanche. E dopo neanche. Sì perché prenderà avvio la discussione sulla legge di stabilità che andrà avanti fino a dicembre lasciando poco spazio per l’esame di altri provvedimenti. Il rischio – o forse la certezza – è quindi che il ddl Cirinnà non uscirà da palazzo Madama neanche per la fine dell’anno.
E’ nei lavori in corso in commissione Giustizia che il Ncd gioca pesante, con 1.500 emendamenti che paralizzano ogni possibilità di confronto. «In dieci giorni sono riusciti ad arrivare solo tre volte al voto», spiega la capogruppo di Sel al Senato Loredana De Petris. «Di questo passo il testo potrebbe arrivare in aula senza relatore». Se ci arriverà. «Il rischio più grosso – prosegue infatti De Petris – è che resti seppellito in commissione».
Una possibilità resa concreta resa concreta dalla decisione presa nei giorni scorsi dalla capigruppo di calendarizzare il provvedimento per l’aula una volta che la commissione avrà finito i lavori. Dove nel frattempo si perde tempo discutendo su emendamenti spesso inutili.