Già il titolo, Sto bene all’inferno, premette un approccio adulto al disco, che entra in relazione direttamente con la vita dell’artista, Louis Dee. Palermitano, classe 84, il rapper racconta la quotidianità della capoluogo siciliano, dimostrando come l’hip hop sia geneticamente predisposto a trattare l’insofferenza, la violenza, ma anche l’amore per l’urbe. È un disco equilibrato, crudo, ma che non insegue gli stereotipi di una terra segnata dalla criminalità, tanto che gli spaccati di vita di Dee potrebbero essere riferimento di altri contesti italiani.

Un lavoro ben confezionato, di carattere e a distanza di sicurezza dai rapper mainstream e dal senso d’inferiorità che spesso hanno gli artisti di casa nostra nei confronti dei rapper d’Oltreoceano. Ci sono pezzi, come Ancora qui, che ricordano i Casino Royale, che restano un riferimento per la crew di Unlimited Struggle, l’etichetta di Louis Dee. «Artisti come i Casino Royale hanno contribuito non solo alla scena hip hop, ma più in generale hanno dato speranza e ispirazione a gente, come noi appunto, che non si accontentava della musica leggera italiana.

Sai, a volte ci provo ad ascoltare la radio italiana ma è il solito susseguirsi di banalità e musica già vecchia e anche nel rap italiano non c’è una vera e propria evoluzione/innovazione… A volte sembra solo che basti trovare un personaggio da appioppare a un determinato tipo di sound, lo stesso sound però magari è stato totalmente copiato da qualcos’altro!».

Nel sud c’è sempre stata una scena rap forte, ultimamente le cose cominciano a prendere più spessore anche dal lato di visibilità, forse perché gli italiani si stanno accorgendo che il rap non è solo una roba da ragazzini. «Io non mi considero sicuramente un prodotto per gli stessi ragazzini che ascoltano Fedez. Fortunatamente anche i più giovani ascoltatori riescono, bene o male, a capire le differenze sia stilistiche che culturali. Per esempio Johnny Marsiglia ha prima di tutto la sapienza musicale e conosce le diverse sfaccettature di ciò che è e cosa offre il panorama italiano e ascoltando i suoi album, oltre la potenza lirica e tecnica, c ’è soprattutto una cosa che lo distingue da chiunque altro: È Lui! Voglio dire, artisti come Johnny Marsiglia, Clementino, Loop Loona, Ensi, Er Costa, Nex Cassel, Esa, i ragazzi di Machete, Noyz,Tormento, i ragazzi di Unlimited Struggle e BlueNox, il tanto discusso Emis Killa e tanti altri, hanno tutti lavorato duramente per essere primi in ciò che fanno. Non sto parlando di vendite o visualizzazioni, parlo di aver creato un loro stile, un loro movimento che hanno interessato masse di ascoltatori, sono riusciti lì dove non riusciva la metà degli artisti italiani, hip hop e non».

Nei testi c’è una parte di Palermo, quella da cui, dici anche nel testo di Via di qua, c’è da scappare. Eppure vivi lì. «Io credo che da Palermo non se ne andrebbe mai nessuno se non fosse per le opportunità che ci vengono tolte. Negli ultimi due anni sto affrontando una delle poche paure che ho sempre cercato di allontanare, ovvero quella di dover prendere la decisione per me e la mia famiglia di andar via da qui. Ho visto tanti, troppi amici fare i bagagli e lasciarsi alle spalle parte della propria vita: ci vogliono coraggio e un gran cuore. Questo è l’inferno di cui parlo».

Il rap sembra il linguaggio musicale più adatto a raccontare le periferie e i suoi problemi, questo è un dato di fatto. «Quando tutto è iniziato, negli Stati uniti, era un blues più ritmato, gente per strada che si lamentava facendo rap, passando dai marciapiedi ai locali alle radio fino alla tv… Ovvio, poi il business ha avuto la meglio. Ho iniziato a scrivere da ragazzino su ciò che non mi andava di vedere. Figlio dei ‘90, figlio di divorziati, abitavo con mio padre che pensava a lavorare come un pazzo per non farmi mancare nulla, ma negli anni in Sicilia il lavoro è diminuito ancora e ancora, e io come tanti ho visto sbagliare in buona fede i miei cari. In tante città del sud Italia non hai scelta e agisci nell’ignoranza che ti ha cresciuto, provi a emergere e, come diceva qualcuno, 1 su 1000 ce la fa».