Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, per Renzi la disoccupazione va giù e questo dimostra che il Jobs Act funziona. È proprio così?
Non c’è la controprova. In linea di massima è difficile attribuire al Jobs Act una crescita peraltro molto labile. Tra l’altro, è perfettamente in linea con la crescita complessiva. Più zero virgola, occupazione zero virgola. È difficile disgiungere questi elementi.

Il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy
Il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy

Che ruolo hanno i bonus alle imprese nella crescita dell’occupazione?
Se Renzi dice che è merito del Jobs Act, e allude al ruolo che hanno avuto gli incentivi, dico che ha ragione. Dovrebbe però aggiungere che questo zero virgola in più, peraltro ancora fortemente condizionato da un alto numero di contratti a termine, ci costerà circa 12 miliardi nei tre anni. Questo significa che lo zero virgola di occupazione a tempo indeterminato in più è costato ai contribuenti una cifra pari a 25 mila euro per ogni nuovo occupato. Questo ci porta a dire che una significativa spinta ad assumere a tempo indeterminato non c’è stata. Le assunzioni con il Jobs Act sono state un caso residuale.

Come si spiega la contemporanea crescita dei contratti a termine e precari?
È lo stesso governo ad avere ampiamente facilitato questa tipologia contrattuale con la riforma Poletti: oggi si può assumere, prorogare o licenziare senza nessuno impiccio. In tutti questi casi l’azienda sceglie il contratto con meno vincoli rispetto a quelli più regolamentati.

Come spiega il boom dei voucher degli ultimi tempi?
È andato a regime la riforma voluta dai vari governi che hanno esteso questi «buoni lavoro» in maniera indiscriminata. Sono nati per coprire segmenti di lavoro marginali in un sistema produttivo strutturato, ma poi sono diventati strumenti normali. Nel settore del turismo, dei servizi alle imprese, del lavoro stagionale sostituisce il contratto a termine o a chiamata per brevi rapporti occasionali. È sorprendente come la campagna mediatica abbia presentato il Jobs Act come una riforma che promuove l’occupazione stabile. Visti i dati sui voucher non si può che rilevare la contraddizione. Viene il dubbio è che questo sia il prodromo per fissare il salario minimo per legge del salario e non per contratto.

Crescono gli inattivi soprattutto tra i giovani. Per quale motivo?
Il bisogno di reddito, soprattutto in un sistema familiare, ha portato più persone a cercare un lavoro. Di fronte alle difficoltà è scattata la fase dello scoramento che ha visto aumentare di molto gli inattivi sul mercato del lavoro. Il senso di impotenza diffuso non è dovuto alle leggi adottate dal governo, ma dall’economia. In un momento in cui c’è la quasi certezza di non trovare lavoro, si passa alla fase dell’inattività.

L’Istat sostiene che in 10 anni i giovani al lavoro sono diminuiti di 2,3 milioni mentre gli over 50 sono aumentati di 2,4 milioni. Questo andamento si riscontra anche nel Jobs Act?
In una famiglia a rischio disagio, dove il lavoro più strutturato dell’adulto maturo si confronta con le opportunità di un giovane, la famiglia spinge per fare rimanere in attività gli adulti. In Italia la distribuzione del lavoro non è affatto equa, ma il sistema considera che il dramma del capofamiglia che non ha lavoro è decisamente più grave della disoccupazione giovanile. Lo è dal punto di vista materiale, perché portano lo stipendio a casa e lo è dal punto di vista umano. Non sto dicendo che la disoccupazione giovanile non sia grave, ma l’adulto che non ha reddito è considerato più preoccupante. A questo si aggiunga un sistema di ammortizzatori sociali che cerca di tenere nel sistema produttivo solo i lavoratori adulti.

Quanto ha pesato la riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile?
Ha frenato il turn-over fisiologico tra lavoratori nelle aziende e ha bloccato di decine di migliaia di posti di lavoro che non vengono più offerti. La riforma è stata senz’altro un freno, ma non è l’unica causa della disoccupazione giovanile.

Più del Jobs Act è stata la riforma fornero a aumentare l’occupazione?
Sì. Quella riforma non aveva questa finalità, ma si può dire che è stata più efficace dal punto di vista della ridefinizione del mercato del lavoro in Italia.