Tamponati i danni che la finanza creativa aveva procurato al sistema in questi anni mediante generose operazioni di ricapitalizzazione degli istituti di credito, in Europa è tutto pronto perché la grande giostra della speculazione possa tornare a girare più forte e più veloce di prima. Ne sono così convinti ai piani alti della Commissione Europea, che, per lubrificarne gli ingranaggi, hanno appena approntato un «piano d’azione» per abbattere ogni residua barriera al movimento dei capitali in ambito Ue. Presentata come un «pilastro» del piano triennale europeo di investimenti da 315 miliardi, più noto come “Piano Juncker”, l’iniziativa, denominata Capital Markets Union (CMU), avrebbe come scopo quello di «contribuire a creare un vero mercato unico dei capitali in tutti i 28 Stati membri dell’Ue», per «diversificare le fonti di finanziamento per le imprese» e, di conseguenza, per «incentivare l’occupazione». Nobili obiettivi, verrebbe da dire. Peccato che si tratti di una strada già abbondantemente battuta negli ultimi trent’anni, che ha condotto l’economia mondiale sull’orlo del baratro appena otto anni fa.

In cima agli obiettivi del piano c’è, difatti, il «rilancio delle cartolarizzazioni», ovvero di quel sistema che consente alle banche di disfarsi dei propri crediti, cedendoli, a titolo oneroso, a società-veicolo (Special Purpose Vehicle) che li spezzettano, li ricompongono, ne fanno titoli negoziabili, pacchetti di prestiti bancari da vendere sul mercato. Negli ultimi anni, tali operazioni sono servite alle banche non soltanto per incamerare soldi freschi, scaricando i rischi di insolvenza sugli investitori (anche piccoli risparmiatori), ma anche per aggirare la normativa vigente sul rapporto tra prestiti erogati e patrimonio detenuto. Espungendo dai propri bilanci quote sempre maggiori di crediti vantati verso cittadini o imprese, la banche, insomma, hanno potuto incrementare in maniera esponenziale la loro attività di creazione dal nulla di denaro, alimentando bolle speculative e moltiplicando all’infinito le probabilità di insolvenza dentro il sistema.

Di fronte ai gravi problemi economici e sociali che attanagliano l’Europa, dunque, la Commissione Europea non ha altro da proporre che un incremento delle attività finanziarie, di nuovo un affidamento alle magnifiche sorti e progressive dell’economia di carta. Non hanno dubbi: «Se le cartolarizzazioni nell’Ue tornassero ai livelli di emissione medi pre-crisi, sarebbe possibile generare tra i 100 e i 150 miliardi di euro di finanziamenti supplementari per l’economia». Come se alla base della Grande recessione, nella quale per certi versi ancora siamo immersi, non ci fosse stata proprio la crescita ipertrofica della finanza speculativa ed il sistema bancario ombra (Shadow banking system), tra le cui attività le cartolarizzazioni hanno sempre avuto un peso più che rilevante.

Per non rischiare un profilo «minimalista», nondimeno, accanto alle cartolarizzazioni, nel piano viene data grande importanza anche ad altre attività finanziarie, come, ad esempio, il private equity ed il venture capital. Alla lettera, questo tipo di attività consistono nel raccogliere fondi ed indirizzarli verso la partecipazione al capitale di impresa, al fine di realizzare, nel medio periodo, un guadagno di capitale (capital gain) mediante la cessione della partecipazione stessa. In pratica, parliamo di un meccanismo di acquisizione del controllo di un’impresa attraverso un’elevata leva finanziaria, vale a dire acquistando quote azionarie della stessa per un ammontare superiore al capitale posseduto.

A debito, insomma. Come spesso è accaduto, però, tali operazioni non hanno avuto come fine lo sviluppo dell’impresa acquisita, ma solo la massimizzazione dei profitti a spese dell’azienda stessa e dei lavoratori. La storia di molte aziende finite nelle mani di questi fondi, infatti, presenta, grosso modo, lo stesso cliché: ingresso del fondo nel capitale, dura ristrutturazione, vendita dell’azienda (anche a pezzi). Il tutto nel giro di pochi anni, col solo obiettivo di uscire dall’operazione con strabilianti plusvalenze. Per questa ragione, del resto, si è parlato di «fondi locusta», a proposito di tali strumenti. Proprio come le cavallette, infatti, questi «investitori» si sono spesso avvinghiati su imprese sane, ne hanno approfittato per i loro fini speculativi, per poi smantellarle o lasciarle in macerie.

Come se non bastasse tutto ciò, la Commissione si è detta anche intenzionata a «rimuovere gli ostacoli ingiustificati di natura prudenziale» che impediscono alle compagnie assicurative di giocare un ruolo di primo piano nella partita dei progetti infrastrutturali europei. Un modo, anche questo, per estendere il raggio d’azione della speculazione finanziaria, subordinandovi bisogni reali ed esigenze delle comunità locali. E non è finita qui. Il cerchio si chiude con i fondi pensione, strumenti di raccolta del risparmio, da incanalare nel circuito della finanza speculativa. La Commissione assicura che il suo scopo è «offrire alle famiglie migliori soluzioni per realizzare i loro obiettivi pensionistici». Di fatto, parliamo dell’intenzione di potenziare la previdenza privata a danno di quella pubblica, ciò che nel piano viene definito il «terzo pilastro» del Capital Markets Union. C’entra qualcosa questo con le politiche di austerità di questi anni? A ben vedere, si direbbe proprio di si.

In termini generali, il piano non fa che certificare la deriva di questa Europa: da patria del welfare state a laboratorio del radicalismo neoliberista. In fondo, non ne fanno mistero i suoi «governanti». Anche in questa specifica occasione: «l’Unione dei mercati dei capitali – si legge nel piano – dovrebbe consentire l’aumento della concorrenza e la creazione di mercati più liquidi», al fine di aumentare la «competitività europea». «Mercati più liquidi», quindi. Ancora più deregolamentati, liberi da «lacci e lacciuoli», proprio quando le vicissitudini dell’economia europea e mondiale avrebbero dovuto far riflettere sulla necessità di una loro più rigida limitazione.
Dopo aver reagito alla crisi scoppiata tra il 2007 ed il 2008 con l’inasprimento delle politiche di austerità, oggi, in breve, l’Europa si affida, per disincagliarsene, agli stessi attori che l’hanno cagionata. Di fatto, non fa altro che moltiplicare il rischio di un nuovo crack finanziario.