Il ministro Alfano canta vittoria, ma c’è poco da essere soddisfatti. Chiamata per l’ennesima volta ad assumere una posizione responsabile e solidale sull’emergenza immigrazione, l’Europa come al solito volta la testa da un’altra parte confermando di non essere capace di guardare oltre gli interessi di bottega di ogni singolo Stato.

Ieri il summit dei ministri degli Interni dei 28 avrebbe dovuto finalmente mettere fine – dopo cinque mesi di trattative – alla questione relativa il ricollocamento di 40 mila profughi siriani e eritrei (24 mila dall’Italia e 16 mila dalla Grecia) tra gli Stati membri. L’accordo alla fine è stato raggiunto, ma si tratta di un’intesa che più al ribasso non avrebbe potuto essere: anziché i previsti 40 mila profughi, ne saranno ricollocati solo 35 mila in due anni, rimandando a tra sei mesi eventuali aggiornamenti. Previsto inoltre il reinsediamento di 22.500 mila profughi attualmente nei campi in Africa. «Noi siamo completamente coperti per il primo anno, mentre il secondo non è stato ancora definito nei dettagli. Abbiamo avuto molto di più di quanto avevano ottenuto i governi precedenti», è stato il commento di Alfano. Il ministro italiano è l’unico, però, a leggere in positivo l’intesa raggiunta. Pur parlando di «un risultato inatteso», il commissario europeo all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos si è detto infatti «deluso dai numeri» mentre il presidente del gruppo S&D all’Europarlamento, Gianni Pittella, ha definito l’accordo «ridicolo»: «Siamo alla farsa», è stato il commento secco.

Al di là della propaganda, per l’Italia si tratta di una nuova sconfitta, resa ancora più bruciante dal fatto che ci sono voluti 150 lunghissimi giorni – durante i quali non sono mancati i naufragi nel Canale di Sicilia e di fronte ala coste libiche, per arrivare a un accordo stiracchiato. 150 giorni durante i quali pur partendo da una cifra di ricollocamenti a dir poco simbolica di 40 mila profughi (l’equivalente di meno di un mese di sbarchi in Italia e Grecia), i falchi dell’Unione europea sono riusciti a smantellare un pezzo alla volta la proposta avanzata dalla commissione europea di Jean Claude Juncker trasformando l’iniziale obbligatorietà del ricollocamento tra gli Stati membri in volontarietà. Il risultato è che Austria e Ungheria hanno già detto che non prenderanno nessun profugo, Regno unito e Danimarca sono escluso dall’obbligo di accoglienza dai Trattati europei come l’Irlanda, che invece accoglierà 600 profughi. Per quanto riguarda gli altri Stati, la Germania riceverà 10.500 rifugiati, la Francia 6.752 e i Paesi Bassi 2.047. Per quanto riguarda invece il reinsediamento di coloro che si trovano nei campi profughi fuori dall’Europa, 1.989 verranno accolti in Italia, 1.600 in Germania, 2.375 in Francia, 2.200 nel regno Unito, 1.900 in Austria, 1.449 in Spagna, 519 nei paesi Bassi e 1.000 in Danimarca. Daranno il loro contributo anche Paesi che non fanno parte dell’Ue come Norvegia (3.500), Svizzera (519), Islanda 850 e Liechtenstein (20).

All’esiguità dei numeri vanno poi aggiunte le difficoltà per attuare i ricollocamenti. Bruxelles ha in fatti posto regole molto rigide che prevedono che la richiesta di smistamento a uno Stato venga fatto trasmettendo la documentazione dell’avvenuta identificazione del rifugiato e ottenendo il via libera entro due mesi, tempi strettissimi, che limitano di molto le possibilità che la procedura avvenga con successo.

L’identificazione dei migranti resta un punto fermo per Bruxelles, pronta a far saltare anche quel minimo accordo raggiunto. Per questo funzionari di Frontex verranno in Italia per aiutare le nostre autorità nelle procedure di fotosegnalamento e raccolta delle impronte digitali dei migranti all’interno degli hotspot – una sorta di grandi Cie europei – che verranno realizzati nei punti di sbarco in Sicilia, Calabria e Puglia.

«Le prime ricollocazioni cominceranno a ottobre», ha annunciato il ministro lussemburghese degli Interni e dell’Immigrazione Jean Asselborn, presidente di turno del consiglio Ue degli Affari interni. Anche Asselborn non si è detto soddisfatto per le conclusioni raggiunte ieri: «basare la solidarietà europea sulla volontarietà ha chiaramente mostrato i suoi limiti», ha ammesso.