Riforme economiche non meglio specificate, trasparenza e una dura lotta contro la corruzione. È quanto l’Unione europea chiede all’Ucraina in cambio del prestito più cospicuo nella storia dell’Unione verso un partner esterno. Bruxelles procederà infatti al prestito di 1,8 miliardi di dollari a Kiev.

La Majdan, dunque, continua a pagare, per quanto l’avvicinamento vero e proprio all’Ue non sia ancora così scontato. C’è da chiedersi – inoltre – cosa pensino di questo prestito ad Atene. Si dirà che le condizioni per Kiev sono esose: l’Ue chiede riforme dure, forti, austerity al cento per cento, anche perché il paese – secondo le analisi che arrivano perfino da Washington – viene dato ormai vicino alla bancarotta. L’accordo è stato siglato dal vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, dal ministro delle finanze ucraino Natalie Jaresko e dal Governatore della banca centrale ucraina Valeria Gontareva.

Il prestito costituisce una boccata d’ossigeno per Poroshenko, che insieme ai problemi militari deve affrontare una situazione economica disastrosa. Anche da un punto di vista diplomatico non si può dire che il meeting lettone di Riga, dedicato proprio all’Europa orientale, abbia giocato a favore di Kiev. Al vertice di Riga fra l’Unione europea e i partner dell’est è stato fatto il massimo possibile, nonostante il ridimensionamento delle aspirazioni europee di Ucraina, Georgia e Moldavia. «Abbiamo fatto il massimo di quanto potevamo raggiungere oggi», ha detto il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, nella conferenza stampa finale del summit, conclusosi con oltre un’ora di ritardo proprio perché non tutti erano concordi sulle parole del comunicato. Nelle dichiarazioni finali infatti si parla delle «aspirazioni europee» dei paesi dell’Est.

I maligni fanno notare l’uso dell’espressione «aspirazione», preferita a «prospettiva». «L’Ue mantiene le sue promesse, ma – ha avvertito Tusk- dobbiamo essere molto chiari: c’è differenza fra le nostre promesse e le aspirazioni dei Paesi dell’est, per cui le nostre promesse non sono abbastanza». In questo senso «la partnership orientale non è la strada automatica per l’adesione alla Ue». Il presidente del Consiglio Ue ha riconosciuto che c’è stata una discussione «molto dura» sul linguaggio da usare nelle dichiarazioni conclusive. Va da sé che le difficoltà si sono palesate – ad esempio – con Armenia e Bielorussa, che fanno già parte dell’unione economica euroasiatica con la Russia e che non hanno gradito il comunicato congiunto con cui si critica proprio Mosca per l’annessione della Crimea.

E il gioco delle parti non è certo terminato a Riga, con a distanza, nel mediterraneo, le esercitazioni congiunte di Russia e Cina a ricordare a che punto siamo con le alleanze. L’Ucraina – a sua volta – da mesi si muove internazionalmente per ricordare che sta contrastando niente meno che Mosca, e l’altro ieri ha posto – a sorpresa – una richiesta: lo scudo anti missile. Da Washington hanno trasecolato: va bene tutto, perfino il training al disastrato esercito di Kiev, ma una mossa del genere lascerebbe poche chances di continuare a etichettare Putin come l’unico provocatore in quell’area.

Dagli Usa quindi parole imbarazzate di diniego. E nel gioco che vuole i falchi appostati sulle coste del mar Baltico, ecco la notizia di ieri direttamente dalla Finlandia: le autorità finlandesi hanno scritto a 900mila riservisti delle forze armate – tra i quali i residenti all’estero – per definire il ruolo di ciascuno di loro «in caso di guerra». Un’iniziativa – hanno scritto le agenzie – che testimonia le crescenti tensioni con la Russia, con cui la Finlandia condivide un confine di oltre 1.300 chilometri, il più lungo di tutti i paesi europei fatta eccezione per l’Ucraina.

900 mila persone non sono poche, considerando che la popolazione totale del paese supera di poco i 5 milioni di abitanti. La lettera indica ai singoli riservisti a quale unità o reggimento dovranno fare riferimento in caso di ostilità: «Di seguito troverete tutti i dettagli riguardanti la vostra persona e il vostro ruolo in caso di guerra». «Il momento non è scelto a caso» ha sottolineato un riservista al Telegraph. «Chiaramente è dovuto a un atteggiamento più aggressivo della Russia. Sono riservista da 15 anni ed è la prima volta che ricevo una cosa di questo tipo. Lettere come queste sono una cosa molto rara». Il governo ha specificato che «la lettera ai riservisti è legata al nostro piano per sviluppare le comunicazioni con i riservisti, e non alla situazione della sicurezza», secondo quanto dichiarato da Mika Kalliomaa, portavoce delle forze di difesa.