Diciamolo subito, il problema non è Berlusconi, non sono le sue mortuarie cassette in onda in tv e nemmeno le reazioni scomposte e scontate dei suoi famigli alla sentenza della Cassazione. Il problema, nostro e del paese, è la sinistra. È in grado di affrontare nuove elezioni possibilmente per vincerle? Perché se il Pd si appresta a sparare a salve, come ha fatto ieri il sottosegretario Stefano Fassina, pur l’unico a reagire, con un colpo al cerchio e uno alla botte («quelle di Bondi sono parole eversive, ma il governo Letta deve andare avanti»), allora prepariamoci al peggio, a un Berlusconi libero di continuare a condizionare la vita politica del paese mantenendo il governo fino a quando gli converrà. Come del resto ha fatto capire quando davanti ai suoi riuniti a Montecitorio prima ha eccitato gli animi («siamo pronti alle elezioni, e dobbiamo chiederle per vincerle»), poi ha spento i bollenti spiriti («ma dobbiamo valutare bene l’interesse del paese», cioè di se medesimo).

[do action=”citazione”]Di fronte al grande bluff del politico dimezzato, solo il Pd e questo governo possono tenerlo ancora al tavolo da gioco. Il Pd e il Quirinale.[/do]

Di quali altre dimostrazioni di inaffidabilità, dopo l’eversiva dichiarazione del patetico Sandro Bondi sul «rischio di guerra civile», ha bisogno il capo dello stato per consigliare al suo presidente del consiglio di celebrare il funerale delle «larghe intese»? Che si tratti di «frasi irresponsabili», come replicano dal Quirinale, lo vediamo tutti. Non è questo il punto.

Quando il presidente della Repubblica auspica di ritrovare «coesione e serenità» sui temi istituzionali, ritiene di individuare in personaggi come Alfano, Schifani e Brunetta – il terzetto che lacrimante è andato a rimettere il mandato delle rispettive cariche a Berlusconi che non ha titolo per risponderne – gli interlocutori per le riforme? Quegli stessi Brunetta e Schifani che annunciano di recarsi al Colle per chiedere l’irricevibile grazia per il condannato?

Chiarito che Berlusconi non ha alcun interesse ad affrontare in queste condizioni un’eventuale campagna elettorale, assodato che Letta (Enrico) rappresenta un riparo necessario da una diversa maggioranza, di fronte alle opposizioni c’è un’autostrada. O meglio, ci sarebbe, perché, come è già successo troppe volte, non è detto che al Pd abbiano l’intenzione di percorrerla. In parte bisogna capirli, il gruppo dirigente che in vent’anni non ha trovato la forza di risolvere il conflitto di interessi, perché dovrebbe provarci proprio adesso che con il Cavaliere disarcionato è già pronta la figlia a prenderne il posto? E perché il Pd dovrebbe, con un’altra maggioranza, fare una riforma elettorale capace di bilanciare rappresentanza e pluralismo? Significherebbe chiudere questa sventurata fase di intese berlusconiane e dare vita a un vero governo di servizio in grado di cancellare il peccato originale del conflitto di interessi. E di chiamare gli italiani al voto per iniziare a uscire dal tunnel lungo vent’anni in cui l’insipienza delle sinistre, tutte, ci ha precipitati e ancora rischia di lasciarci.