Lula da Silva al contrattacco. L’ex presidente brasiliano ha denunciato per «propaganda oppressiva» quattro giudici che indagano sulla corruzione dell’impresa petrolifera di Stato Petrobras. I magistrati Julio Noronha, Roberson Pozzebom, Jerusa Veicili e Athayde Ribeiro Costa avrebbero «menzionato prove inesistenti in un’indagine che non si è mai conclusa». Lula, ancora popolarissimo e nuovamente favorito alle presidenziali del 2018, è stato messo sotto attacco dalla magistratura in ripetute occasioni. Il 4 marzo, la polizia lo ha persino tradotto a forza in caserma per interrogarlo, con gran fragor di media, per presunti fatti di corruzione. Anche in quell’occasione, Lula aveva denunciato il magistrato Carlos Fernando dos Santos, che lo accusa di essersi comprato una villa con soldi pubblici. Questa settimana, l’ex presidente brasiliano ha dichiarato alla stampa che la polizia ha intimidito anche la moglie e uno dei figli: per convincerli a fare dichiarazioni compromettenti nella tangentopoli brasiliana (Lava Jato).

Il leader del Partito dei lavoratori (Pt) ha sempre protestato la sua innocenza, dicendosi vittima di «una persecuzione giudiziaria». Ha presentato anche un esposto al Consiglio per i diritti umani dell’Onu, ribadendo che non ci sono prove a suo carico e che la magistratura gli sta addosso senza motivo alcuno. E ora afferma di essere bersaglio di un’ulteriore vendetta, per essersi difeso in ambito internazionale. I quattro giudici – dice un comunicato del suo staff – «hanno anticipato un giudizio di valore su fatti che sono ancora oggetto di indagine».

Il riferimento è a un documento diffuso recentemente dai magistrati, nel quale hanno dichiarato che «vi sono elementi probatori circa la partecipazione attiva di Lula allo schema criminale emerso in Petrobras». In base a quel teorema, Lula avrebbe tratto vantaggio, «diretto e indiretto», dal sistema di tangenti della «struttura criminale». I magistrati stanno indagando anche su presunti «favori» che l’ex sindacalista avrebbe ricevuto da alcuni costruttori implicati nella Lava Jato quando era presidente.

Intanto, il Pt si è rivolto alla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) per chiedere che venga annullato il giudizio d’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff, sospesa dall’incarico il 12 maggio. Il processo per irregolarità fiscali – che ha ampiamente dimostrato la valenza politica e pretestuosa delle accuse – è giunto alla sua fase finale. Dopo l’ultimo voto negativo del Senato (59 contro 21), Rousseff aspetta l’udienza conclusiva, che dovrebbe aver luogo il 23 o il 29 agosto.

Determinante, per l’ultima votazione sfavorevole, è stata la corposa relazione del capo della Commissione speciale, Antonio Anastasia. Il suo rapporto non ha incluso una registrazione video che dimostra le manovre messe in atto da mesi per togliere di mezzo la presidente, ordite dall’ex presidente della Camera Eduardo Cunha (poi dimissionario) e dallo stesso presidente a interim, Michel Temer, entrambi coinvolti nell’inchiesta Lava Jato. Allo «schema criminale» hanno concorso oltre 50 uomini politici di quasi tutti i partiti, molti dei quali hanno votato e sostenuto l’impeachment. Per questo, i legali di Rousseff ritengono siano stati violati i diritti di Dilma a un giusto processo e chiedono l’annullamento dell’impeachment. Le speranze, però, sono esigue. A muovere il golpe parlamentare sono grandi interessi oligarchici, a livello interno e sovranazionale. Nonostante il rigetto del 62% della popolazione, Temer deve spianare in fretta la strada ai piani delle destre, tornate in forze in America latina.

Brasile, Argentina e Paraguay non riconoscono la presidenza pro-tempore del Venezuela nel Mercosur. Oggi si riuniscono per imporre le proprie soluzioni all’organismo: bypassare il turno del Venezuela in favore dell’Argentina, a cui toccherebbe il testimone fra sei mesi; oppure assumere la presidenza con un triumvirato (neoliberista). Quella che il Venezuela ha definito una nuova «Triplice Alleanza» propone per questo una riunione dei coordinatori del Mercosur, da tenersi il 23 di agosto. Per quella data saranno finiti i Giochi olimpici di Rio, che i movimenti contestano al grido di «Fora Temer», definendoli «i Giochi dell’esclusione». Intanto, il governo Temer ha inviato un comunicato a tutti gli organismi per diffidarli dal partecipare alle attività di esercizio della presidenza pro-tempore organizzate dal Venezuela dopo il passaggio del testimone dell’Uruguay, a fine luglio.