Dopo settimane di tensione, la legge sulle unioni civili arriva all’epilogo senza suspence né pathos. È tutto già scritto, sin nei dettagli. La discussione generale, al cospetto di banchi del governo vuoti, è striminzita, tanto che non esaurisce neppure i tempi fissati. Il presidente Piero Grasso prende atto e anticipa le dichiarazioni finali e il voto di oltre un’ora. La fiducia passa con ampio margine, 173 sì contro 71 no. Molti dei contrari, infatti, hanno scelto di non partecipare al voto: tutto il gruppo 5 Stelle, i Pd Vannino Chiti e Luigi Manconi, quattro centristi tra cui Maurizio Sacconi e Roberto Formigoni. Favorevoli anche Giorgio Napolitano, che in questa partita si è dato sin troppo da fare, e Mario Monti.
Tra i senatori del Misto la maggioranza boccia la fiducia, ma ci sono anche alcuni voti a favore, quelli della componente Idv. La senatrice ex grillina Bignami annuncia non solo il voto contrario ma anche le dimissioni, per protesta contro le modifiche subìte dalla legge. Sel ha scelto il voto apertamente contrario, per segnalare il suo totale dissenso da una legge che, sul piano della cultura civile e politica del paese ancor più che su quello legislativo, è troppo diversa dal testo originale, che rappresentava del resto già una mediazione.
Anche la «novità» politica era prevista. Senza i 18 voti provenienti dell’Ala di Verdini il governo starebbe di sei voti sotto la maggioranza assoluta, almeno stando al pallottoliere. Il quale, tuttavia, in questi casi è sempre infido. Con i sei senatori di maggioranza che non hanno partecipato al voto la maggioranza ci sarebbe anche senza gli Alati, ma d’altra parte quando si corre sul filo di una manciata di voti ogni calcolo è puramente virtuale. Il fatto vero e concreto è uno solo: l’esercito di ventura raccolto da Denis il traghettatore, probabilmente destinato a crescere di numero in futuro, è entrato ufficialmente nella maggioranza votando per la prima volta la fiducia.

Per quanto tutti insistano nella farsa del «gruppo d’opposizione che vota solo a favore di singoli provvedimenti», il fatto è incontrovertibile e comporta una modifica sensibile del quadro. Per ora i verdiniani non chiederanno posti al governo, «appoggio esterno» affermano senza mezzi termini, ma hanno tutte le intenzioni di dire la loro sulle leggi e su alcune, in particolare quella sul conflitto di interessi, più che su altre.
A voler essere corretti, ma il solo dirlo è già una barzelletta, Renzi dovrebbe recarsi sul Colle per annunciare al capo dello stato la nascita di una nuova maggioranza. Figurarsi! Non solo non ci pensa per niente, ma l’immancabile Napolitano benedice solerte: «Ma no. I voti sono solo aggiuntivi».
Tra i pochi elementi di interesse, in una giornata che si trascina stanca, c’è l’intervento della madrina della legge, Monica Cirinnà. È un disastro. Non solo ripete per una ventina di minuti che senza la fiducia la legge sarebbe stata massimamente a rischio, il che è palesemente falso, non solo addossa ogni responsabilità ai pentastellati, come da ordini del minculpop renziano e come se gli aggueritissimi catto-dem non esistessero, ma arriva anche a rovesciare con una piroetta tra le meno eleganti l’oscena cancellazione dell’«obbligo di fedeltà». Poco ci manca che lo faccia passare per un trionfo della modernità laica contro l’oscurantismo machista che ancora imperversa tra le coppie etero.

Ora che finalmente Renzi e Alfano, i pionieri, hanno aperto la strada assolvendo gli omosessuali dall’obbligo, si potrà estendere il brillante risultato alla popolazione intera. Chi avrebbe mai profetizzato ad Angelino, lui che ancora ieri sfoderava il sorriso esultando per aver «impedito una rivoluzione contro natura», che proprio la prima firmataria dell’aborrita legge lo avrebbe trasformato in campione dell’avanguardia laica?
Sul particolare dell’obbligo mancante glissano un po’ tutti, o si soffermano solo sul versante grottesco. Solo la presidente dei senatori di Sel Loredana De Petris, forte di una gestione della vicenda impeccabile e riconosciuta da tutti inclusa la ministra Maria Elena Boschi da un lato e le associazioni Arcobaleno dall’altro, ne coglie in pieno la portata. Denuncia la promozione in legge dello stato di uno dei più vieti, abusati e discriminatori pregiudizi.
Un po’ come se in una legge si scrivesse che per gli ebrei non vale il reato di usura. «Come fate a gioire per una cosa simile?», esclama rivolta ai senatori che hanno combattuto la battaglia contro la discriminazione sino a tre giorni fa salvo poi arrendersi a Renzi e Alfano? Non arrivano risposte.