Lo spettro della «deriva protestante» non ha mai smesso di aggirarsi per la Chiesa cattolica. All’inizio del ‘900 l’antiprotestantesimo era stato utilizzato per reprimere quei teologi che venivano definiti «modernisti», i protestanti erano accusati – spesso insieme agli ebrei – di congiurare contro la Chiesa di Roma per sovvertire l’ordine della Cristianità, alla Riforma si imputava di essere all’origine di quella genealogia dei mali moderni che aveva portato alla diffusione del socialismo. Un impianto sostanzialmente immutato fino alla svolta del Concilio Vaticano II.

Era stato Giovanni XXIII a riaprire ufficialmente il cantiere ecumenico. Al Concilio avevano partecipato come osservatori rappresentanti luterani, anglicani e ortodossi; nel decreto Unitatis redintegratio (1964) la Chiesa si era rivolta ai protestanti non più come eretici, ma come «fratelli separati» con i quali ritrovare la tensione unitiva del cristianesimo. Dal Vaticano II era uscito anche quel Segretariato per l’Unità dei cristiani che Giovanni Paolo II trasformerà nell’attuale Pontificio consiglio, a cui si deve larga parte del lavoro degli ultimi decenni, fondamentale per l’elaborazione della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (31 ottobre 1999): nel testo si affermava la complementarietà della fede e delle opere in vista del conseguimento della salvezza e veniva introdotto il concetto di «consenso differenziato», per cui si è d’accordo sulle affermazioni centrali e ci si differenzia su questioni che non impediscono la comunione.

L’anno seguente però la Congregazione per la dottrina della fede, guidata da Ratzinger, emanava un documento, la Dominus Iesus, contro alcune derive dell’ecumenismo, che sembrava riportare il dialogo ai tempi dello scontro sulle concessioni dottrinali e sugli eccessi della teologia progressista, ancora una volta nel segno della paura di una «protestantizzazione». Negli ultimi anni, in particolare a partire dal discorso di Benedetto XVI a Erfurt nel 2011, sono stati fatti nuovi passi avanti, e il dialogo si è progressivamente spostato dalla dottrina alle affinità tra le confessioni di fronte alla crisi imposta dalla secolarizzazione.

Papa Francesco sembra aver spostato il focus dall’identità alla prassi, ovvero all’incontro tra le Chiese nel sociale in difesa degli ultimi. Restano aperte questioni importanti, ma la presenza del papa a Lund riduce ulteriormente le distanze.