Il recente vertice Nato a Newport, in Galles, considerato il più importante dalla costituzione dell’Alleanza Atlantica, ha confermato in modo clamoroso molte delle riflessioni e analisi contenute in Se dici guerra…basi militari, tecnologie e profitti (a cura di Gregorio Piccin, edizioni Kappa Vu, 12 euro).
Il volume è una raccolta di interventi sui conflitti bellici inanellati da un filo conduttore, la totale subalternità di Italia ed Europa alla Nato e agli Stati uniti. Si tratta di un dato confermato, del resto, anche nell’ultimo meeting «atlantico». Dovendo occuparsi di Ucraina e di Isis, a fare la parte del padrone è stato Barack Obama, capace di dettare la linea tanto sull’Ucraina, quanto sulla «coalizione» extra Nato che dovrà annientare la nuova organizzazione islamista che imperversa nelle regione tra Iraq e Siria (creata però proprio da chi ha finanziato «i ribelli» contro Assad in Siria). Ci sono molti punti che il libro coglie in pieno. In primo luogo, la subalternità italiana alla Nato. Come scrive Giuseppe Casarrubea, nel capitolo «La Nato e gli eserciti Stay behind in Italia», la situazione italiana «è caratterizzata dall’assenza di una precisa identità democratica e dal suo perfetto allineamento strategico militare con la visione statunitense del mondo».
Per quanto l’idea di un fronte comune europeo, «non c’è chi non veda come l’attuale concezione di questa idea sia progressivamente decaduta, supposto che abbia mai avuto una sua consistente forza reale». Come spiega bene Manlio Dinucci, una firma presente in tema di armi, guerre e Alleanza Atlantica sul manifesto, nel capitolo «Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda» la scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanza ha creato un primo momento di svolta, dando vita nella regione europea ed euroasiatica «ad una situazione completamente nuova». La Nato amplia la propria concezione si sicurezza, muta i suoi concetti strategici, puntando a coinvolgere altri paesi oltre quelli nord atlantici. Si comincia così a delineare la «Grande Nato». L’Italia, naturalmente, partecipa. «Tale strategia – scrive Dinucci – è fatta propria anche dall’Italia quando sotto il sesto governo Andreotti partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’Aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo».
Sembra una vita fa. C’era l’America dei Bush; Washington era uscita vincitrice dal confronto con l’Unione Sovietica e poteva ancora affermare l’unilateralità imperiale degli Usa. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. L’impero americano è in declino, mentre altri stati affermano la propria politica di potenza. Il mondo è cioè diventato multipolare. In mezzo ci sono state le guerre jugoslave, l’11 settembre, le primavere arabe. E oggi, l’Ucraina, rappresenta in pieno i cambiamenti epocali del mondo e la volontà statunitense nel perseguire la sua politica di potenza, utilizzando come pedine in una scacchiera tanti altri paesi, compresa l’Europa, compresa l’Italia. Secondo Dinucci, «l’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia già nel 1991». Non riuscendo l’operazione di adesione dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, gli Stati uniti hanno iniziato a tessere quelle reti di collaborazione militare, teste di ponte per agenti Cia e un lavorio ben più denso di natura politica.
La nuova strategia Usa è spiegata dal segretario della difesa americana Chuckel Hagel. Le operazioni americane, spiega Hagel, «non intendono più essere coinvolte in grandi e lunghe operazioni di stabilità oltremare, come in Iraq o Afghanistan». Ormai la guerra si fa con squadre speciali, con droni, con la creazione di quelle condizioni «per destabilizzare i paesi e preparare successivamente attacchi militari mirati». Nel volume ci sono altri spunti di riflessione, ad esempio il ruolo dei sindacati all’interno dell’economia della spesa militare, che come richiesto da Obama a Newport aumenterà anche in Italia.
Gianni Alioti scrive sul ruolo del sindacalismo italiano, che per l’autore si è «più volte messo in gioco sulle contraddizioni di natura etica e politica, alla base della produzione e del commercio di armamenti. Lavorando, insieme ai movimenti pacifisti e antimilitaristi, sui temi del disarmo e del controllo dell’export e agendo in molti casi per la diversificazione e riconversione nel civile delle industrie a produzione militare». Argomento più che mai attuale, dato il previsto aumento delle spese militari in Italia. La guerra è un evento nefasto, come abbiamo appreso dai racconti dei nostri nonni, padri e madri. Guerra è fame, sofferenza e morte: una terrrribile realtà che le moderne armi provano invece ad annullare, riducendo i conflitti bellici a un buon business o a una lotta di civiltà.
Come specifica nell’introduzione Tommaso Di Francesco, «è nato un nuovo giornalismo embedded, al seguito collaterale degli eserciti sul campo, una generazione di inviati di guerra, come se la guerra fosse un evento naturale oggettivo e non un evento umano sulq uale avere un punto di vista contrario». Questi sono i meccanismi da sradicare e di cui invece «avere cura». Perché, si chiede Di Francesco, «non c’è ancora una generazione che rivendichi «il ruolo di inviati «contro» la guerra?».