La roulette ha concettualmente la semplicità geometrica e la forza della tela di ragno, un tiratore di roulette russa, un principale, dei caratisti sono i personaggi del dramma. Nei ruoli secondari sono distribuiti il padrone della bettola, il poliziotto che è in perlustrazione nei dintorni, i portantini appaltati per smaltire cadaveri. Le somme relativamente modeste che la roulette investiva su di essi erano, dal loro punto di vista, delle autentiche ricchezze. Il tiratore di roulette è, ovviamente, la vedette della roulette russa e la sua ragion d’essere. Di norma, i tiratori di roulette venivano reclutali nelle vaste schiere dei disgraziati sempre a caccia di un pezzo di pane, simili a cani randagi, degli ubriaconi, dei carcerali appena messi in libertà. Chiunque, per il solo fatto di essere vivo e di potere mettere a rischio la propria vita per tanti, tanti soldi (ma cosa rappresentano mai i soldi in condizioni siffatte?), poteva diventare tiratore di roulette. D’altronde era preferibile che non avesse, nei limiti del possibile, alcun tipo di relazione sociale: famiglia, lavoro, amici fidati.

* * *

Il tiratore di roulette ha cinque possibilità su sei di salvarsi. Lui riceve, di solito, circa il quindici per cento del guadagno del principale. Questi deve disporre di fondi cospicui perché, nel caso che il suo tiratore muoia, deve pagare le poste di tutti i caratisti che hanno scommesso contro di lui. I caratisti, dal canto loro, hanno una possibilità su sei di vincita ma, se il tiratore muore, possono richiedere dieci o addirittura venti volte la posta, in base all’intesa previa con il principale. Il tiratore aveva però cinque possibilità su sei alla prima giocata soltanto. Statisticamente parlando, se puntava una seconda volta la pistola alla tempia, le sue possibilità diminuivano. Al sesto tentativo, le sue possibilità si riducevano a zero. In realtà, fino a quando il mio vecchio amico è entrato nel mondo della roulette russa, diventando il Tiratore con la maiuscola, non si conoscevano casi di sopravvivenza dopo più di quattro giocate, la maggior parte di essi era naturalmente fatta di tiratori occasionali, che non avrebbero per nulla al mondo ripetuto la terribile esperienza. Solo pochi erano attratti dalla prospettiva di far soldi, e ciò dì solito avveniva per potere poi essi stessi assoldare un tiratore, divenendo così principali, il che poteva anche accadere a partire dalla seconda giocata.

19clt1fotinapiccola

Non ha alcun senso che prosegua qui con la descrizione del gioco. Esso è stupido e allettante come ogni gioco, gloriato, questo sì, dalla maculatura di sangue che solletica la nostra abiezione. Ritorno a colui che ha distrutto il gioco avendolo condotto alla perfezione. Per quel che narra la leggenda (che era facile udire a quel tempo in ogni taverna della città), lui non fu reclutato da nessun principale, seppe da solo della roulette russa e andò da solo a vendere sé stesso. Immagino che il principale che l’ha assunto sia stato felicissimo di trovare così facilmente un tiratore di roulette russa, visto che solitamente era necessario fare lunghe e irritanti trattative, penosi mercanteggiamenti con coloro che mettevano all’asta la propria vita. Dapprincipio, ogni vagabondo chiedeva l’impossibile e serviva parecchia abilità per convincerlo che la sua vita e il suo sangue non valevano quanto l’intero universo, ma solo un determinato numero di banconote, che era in funzione della domanda del mercato. (…)

* * *

Sulle iniziali giocate di roulette russa a cui prese parte il mio amico non ho potuto appurare granché. La prima e la seconda volta che uscì salvo, forse persino la terza m’immagino che fu già molto se venne notato dai caratisti. Al massimo, venne ritenuto un tiratore fortunato. Però, dopo la quarta e la quinta giocata di roulette russa, era già diventato la figura centrale del gioco. Nel corso di due anni, fino al nostro incontro al ristorante, l’Uomo della roulette aveva puntato per otto volte il revolver contro la propria tempia in diversi anfratti del lurido labirinto che si snoda tra le fondazioni della nostra città. Ogni volta, mi è stato raccontato (e più tardi me ne sono potuto convincere da solo), sul suo volto sofferto, quasi più senza fronte, s’imprimeva un’espressione di terrore soverchiante, una paura animalesca, a cui era impossibile assistere. Sembrava quasi che fosse proprio questa paura a piegare tutte le volte la sorte, aiutandolo a salvarsi. (…)

Perché mai rischiasse era un enigma. Era possibile pensare a un’unica spiegazione, ma solo il Signore può sapere quanto vera potesse essere, e cioè che lo facesse per un certo tipo di gloria, come uno sportivo che tenta a ogni corsa di superare se stesso. Se così stavano le cose, si sarebbe trattato di un qualcosa assolutamente nuovo nell’ambito della roulette russa, che era esistita da sempre esclusivamente per il danaro. A chi poteva passare per la mente di diventare una specie di campione mondiale di sopravvivenza?

* * *

Tutto era diventato uno spettacolo, con biglietti d’ingresso al posto delle scommesse, spettacolo con un solo interprete che, di tanto in tanto, come un gladiatore nell’arena, affrontava il destino. I saloni presi in affitto erano sempre più spaziosi. Si era rinunciato del tutto alla tradizione delle tane di pantegana, all’odore di sangue e stallatico, ai nomi di battesimo rembrandtiani. Nel seminterrato venivano portati ora calici di cristallo sopra tavoli sommersi da pezze di tela d’Olanda, sete pesanti, di una lucidezza untuosa, mobilia con intarsi floreali e candelabri con centinaia di prismi e tortiglioni di quarzo. Al posto della semplice birra venivano servite ora bevande raffinate da bottiglie dalle forme strane. Credo che si presentasse così anche la sala in cui l’Uomo della roulette si esibì la prima volta armando il revolver con tre cartucce. Aveva ora esattamente tante possibilità di sopravvivere quante erano quelle di giocare per l’ultima volta a questo gioco demente. Perché la nuova collocazione, il lusso ostentato che ricopriva come una crisalide l’insetto terrifico della roulette russa, non facevano che accrescere l’eccitazione degli spettatori di fronte all’odore del sangue. Il tutto era, per giunta, assolutamente autentico. È vero che l’Uomo della roulette aveva ora i capelli impomatati e indossava lo smoking e i pantaloni larghi in voga a quel tempo, ma il revolver era vero e le pallottole più che reali, e la probabilità dell’incidente tanto atteso più concreta che mai.

* * *

L’arma passò nuovamente tra le mani di tutti, lasciando sulle dita un sottile odore d’olio. Neanche la più schizzinosa delle signore in sala si copriva gli occhi, e nel loro sfolgorio violaceo si leggeva il desiderio perverso di vedere ciò che, alcune di esse, avevano soltanto sentito dire sulla roulette: il cranio che esplode come un guscio d’uovo e la sostanza ambigua, liquida, indistinta del cervello che inzacchera l’orlo dei loro vestiti. (…) Ma l’Uomo della roulette sali sulla cassa rivestita di broccato rosso, portò la pistola alla tempia e con la medesima espressione di terrore parossistico in volto, tirò il grilletto. Poi, nel silenzio che sospende ogni cosa per un po’ di secondi, si sentì soltanto il tonfo sordo del suo corpo sull’impiantito. Dopo alcuni giorni di delirio in ospedale, l’Uomo della roulette riprese la sua solita esistenza. Un tempo, i tiratori di roulette russa che sì salvavano venivano fischiati, talvolta persino menati da caratisti disperati; adesso, però, il mio amico era applaudito come una vera star del cinema, il suo corpo del tutto privo di coscienza era attorniato di venerazione.

* * *

La roulette con tre cartucce lubrificate nel tamburo si confonde nella mia mente con ciò che è seguito. Era come se l’arroganza dell’Uomo della roulette lo spingesse a oltraggiare in misura sempre crescente le divinità dell’azzardo. Ben presto annunciò una roulette russa con quattro cartucce ficcate in quei sei alveoli del tamburo, e infine con cinque cartucce. Un solo orifizio vuoto su sei, una sola possibilità di sopravvivenza su sei! Il gioco smetteva ormai di essere un gioco e persino la persona più superficiale fra quelli che occupavano le poltrone di velluto percepiva, non col cervello, né col cuore, bensì con le ossa, con le cartilagini e con i nervi, la possanza teologica che aveva acquisito la roulette. Dopo che l’Uomo della roulette ebbe caricato l’arma e fatto girare il tamburo, producendo di nuovo il lieve riso a scatti dì metallo scuro, ben oleato, il cilindro esagonale, gravido di cartucce, si fermò con l’unico spazio vuoto in corrispondenza della canna. Lo scatto del grilletto, che suonò a vuoto, e la caduta dell’Uomo della roulette furono attorniati da una sacra quiete.
Quando l’Uomo della roulette apparve in sala, abbigliato con bizzarre strisce di stoffa che imitavano, con buon gusto, degli stracci, e quando il maître, camuffato da proprietario, dischiuse a scatola che aveva portato sottobraccio e presentò al pubblico una superba Colt (ora conservata in una collezione privata) con impugnatura d’avorio e canna scintillante, ci si bloccò il respiro.

* * *

Non potevamo credere che potesse essere vero quanto sarebbe accaduto. Difatti, l’Uomo della roulette aveva annunciato alcune settimane prima che alla prossima occasione avrebbe caricato il revolver con tutte e sei le pallottole! Fra la progressione da una a cinque cartucce, per quanto inverosimile potesse essere stato anche ciò, e quest’ultima follia, c’era l’abisso: da una sola possibilità a nessuna. La stilla di umano che l’Uomo della roulette aveva ancora serbato nel suo tentativo svaporava ora sotto la miriade di soli della certezza.

La verifica delle cartucce e del revolver durò ore intere. Quando gli vennero riportate, l’Uomo della roulette le fece tintinnare un istante nel pugno come fossero dadi, quindi le introdusse, una a una, nei sei ricettacoli del tamburo. Con un brusco movimento del palmo della mano gli impresse un moto rotatorio. «È inutile», ricordo che sussurrò qualcuno vicino a me. Nel silenzio terrificante, il lieve riso dentato prodotto dalla rotazione del tamburo si udiva con chiarezza. Tremante, la faccia convulsa, con negli occhi uno sgomento quale e possibile vedere solo in chi e in agonia, portò la pistola alla tempia. La gente si alzò in piedi. Lo guardavo con così tanta tensione da sentire come mi si ingrossavano le vene alle tempie. Vedevo come si sollevava lentamente, quasi vibrando, il cane del revolver. E a un tratto, quasi come se la vibrazione si fosse propagata nella sala, avvertii il terrreno che mi sfuggiva da sotto i piedi. Vidi ancora l’Uomo della roulette che crollava giù dalla cassa e il revolver che si scaricava facendo un putiferio apocalittico. Ma l’aria era già piena di un rumore sordo squarciato dagli urli delle signore e dal tintinnio delle bottiglie rovesciate andate in frantumi. Colti dal panico dello spazio chiuso, ci siamo accalcati per precipitarci fuori il più velocemente possibile. Le scosse durarono un bel po’, trasformando intere strade in un ammasso di calcina e bestie difformi.

Giusto all’uscita, un tram deragliato era finito in un negozio di arredamento, mandando in pezzi le vetri ne. Dopo un’ora il terremoto è ripreso, un po’ meno forte di prima. Chi ha più avuto il coraggio di rientrare in casa quella notte? Ho passeggiato per le vie della città fin quando la nebbia mattutina non rischiarò l’orizzonte e intanto la polvere dei palazzi crollati continuò a deporsi sul selciato. Solo allora mi sono ricordato che l’Uomo della roulette era probabilmente rimasto abbandonato laggiù, nel seminterrato, e tornai per vedere se fosse ancora in vita. L’ho trovato disteso in terra, accudito da alcune persone. Aveva una gamba con un’anca lussata e ansimava per il dolore. Accanto a lui c’era ancora il revolver, odorava di polvere da sparo e aveva nel tamburo soltanto cinque cartucce, la sesta aveva lasciato un foro nericcio in una parete della sala, vicino al soffitto. Fermai una vettura di passaggio e accompagnai il mio amico d’infanzia all’ospedale. Si è ripreso in fretta, ma ha zoppicato per l’intero anno che gli rimase da vivere.

* * *

Quella serata ha seppellito la roulette russa, che è scomparsa dalla mente di tutti, così come abitualmente dimentichiamo ogni cosa che abbiamo portato alla perfezione. Le generazioni più giovani, del dopoguerra, non hanno più trovato traccia di questi Misteri, io soltanto ne rendo ancora testimonianza ma per te. nessuno, per te, nulla.

Dalla sera del terremoto, l’Uomo della roulette si è rintanato nei suoi quartieri alquanto equivoci, lasciando dietro di sé, come sempre, una sfilza di pasticci a stento messi a tacere. Sembra che non abbia mai più pensato alla roulette russa.(…)

Riguardo all’incredibile Uomo della roulette si sono fatte centinaia di supposizioni. Posso solo aggiungerne un’altra che, se non più vera, è almeno più coerente della maggior parte delle altre. Conoscendo fin da piccolo l’Uomo della roulette so che non la fortuna ma, al contrario, la iella più nera, una iella soprannaturale, starei per dire, lo ha sempre caratterizzato. Non ha mai avuto la gioia di vincere nemmeno al gioco più infantile, là dove la sorte aveva un qualche ruolo. Dal gioco con le biglie fino alle corse dei cavalli, dal lancio del ferro di cavallo sul paletto infitto in terra fino al poker, sembrava che il destino lo utilizzasse come un giullare, che lo guardasse con uno sguardo perennemente ironico, la roulette russa è stata la sua grande occasione, ed è sorprendente come quest’uomo intellettualmente rozzo abbia tuttavia avuto la scaltrezza di approfittare dell’unico punto in cui poteva penetrare come uno scorpione, la corazza della sorte e tramutare la beffa eterna in un eterno trionfo. In che modo? Mi sembra ora semplice, primitivo e allo stesso tempo genialmente semplice: l’Uomo della roulette puntata contro di sé. Quando portava la pistola alla tempia lui si sdoppiava. La volontà gli si rivolgeva contro e lo condannava a morte. Era ogni volta convinto con tutto sé stesso che sarebbe morto. Da qui, immagino, l’espressione di terrore sconfinato che gli compariva in volto. Essendo la sua iella totale, non poteva che fallire sistematicamente nell’intento di suicidarsi, forse questa spiegazione è soltanto una stupidaggine, però, come dicevo, mi riesce impossibile vederne un’altra che regga meglio. D’altronde, al momento attuale, tutto questo non conta più…