L’ordine di scuderia è chiaro: la bomba Maurizio Lupi va disinnescata prima che esploda. In concreto prima che arrivino in aula le mozioni di sfiducia presentate alla Camera da Movimento 5 Stelle e Sel (non dalla Lega, con motivazione bizzarra: sono già troppo occupati nel cercare di cacciare Angelino Alfano) e prima che a qualcuno venga in mente di tendere la stessa trappola al Senato, dove il traballante ministro riferirà sullo scandalo della Tav di Firenze nei prossimi giorni. C’è un solo modo per disinnescare la mina: convincere il riottoso a presentare le proprie dimissioni. Peccato che lui, al momento, non ne voglia sentir parlare.

Renzi ci ha provato per tutto il giorno. Ha parlato con Alfano, più volte con lo stesso Lupi, è possibile che i due, con la dovuta discrezione, si siano anche visti di persona. Ma la moral suasion del premier non ha persuaso il ministro delle infrastrutture a togliere il disturbo: «Non sono indagato. Perché dovrei dimettermi?». Decisione rafforzata in Lupi dalla convinzione, forse giusta e forse no, che il suo sacrificio si renda necessario anche perché il caso della Tav fiorentina, per motivi sin troppo ovvi, è per Matteo Renzi particolarmente sensibile e preoccupante. Non che Lupi abbia torto, ma l’opportunità politica dice tutt’altra cosa. Specialmente nel caso di un ministro il cui dicastero è costellato da scandali sempre più enormi, con qualche regalo di troppo inviato in famiglia. Ancor più specialmente in un governo presieduto da chi a suo tempo, quando sulla graticola c’era la ministra Cancellieri, si era schierato a voce altissima per le dimissioni.

Renzi ci prova. Forse qualche minimo spiraglio lo schiude, ma a sera la determinazione del resistente è ancora salda. Non si dimetterà, fanno sapere fonti del ministero delle Infrastrutture rispondendo indirettamente al sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio secondo cui, spontaneamente e per pura generosità, Lupi starebbe valutando l’addio. «Non c’è nessun obbligo da parte del ministro», esordisce. Ci sono però «le valutazioni politiche» in merito alle quali «a oggi nessuno di noi può assumere, senza contezza delle carte, decisioni». Potrebbe farlo Maurizio Lupi, questo sì, perché «il singolo lo può fare a prescindere. Credo che una valutazione da parte sua sia in corso».

A smentire tanto ottimismo ci pensano le già citate fonti anonime e informali del ministero. In realtà, però, le parole di Delrio vanno lette con attenzione. Svelano, sia pure in forma ellittica, quale sia la tentazione che si sta affacciando a palazzo Chigi: al momento Renzi intende fare il possibile e anche di più per spingere Lupi a un gesto spontaneo. Ma se dovesse fallire non esclude una uscita pubblica che renderebbe la posizione del ministro quasi insostenibile: un pronunciamento a favore delle dimissioni, sia pur solo per motivi di opportunità politica.

E’ il massimo che il capo del governo possa fare. Il presidente del consiglio non ha il potere di far dimettere un ministro, tanto che almeno in un caso, quello di Filippo Mancuso, ministro della Giustizia nel governo Dini, nessuna pressione, inclusa quella estrema dell’invito ufficiale da parte del premier, fu sufficiente: si dovette ricorrere alla mozione di sfiducia individuale. Proprio quel che Renzi vuole evitare, perché quella mozione verrebbe probabilmente votata da una parte del Pd e bocciata invece da Forza Italia. Il danno d’immagine per il governo è già letale. Un sostegno simile al ministro di riferimento di Comunione e Liberazione lo renderebbe esiziale. Per questo la situazione deve essere sbloccata, in un modo o nell’altro, prima che a decidere sia l’aula. Certo, tutto sarebbe molto più facile se Renzi potesse contare sul pieno appoggio di Angelino Alfano, ma il ministro degli Interni e leader di Ncd, almeno per ora, non se la sente di entrare in conflitto con l’uomo che garantisce una delle poche sacche di voti a disposizione del suo partito, quella appunto di Cl.

Nonostante i piedi puntati, però, che Lupi riesca davvero a mantenere il suo potente ministero pare molto improbabile. Il problema però non è rappresentato solo da lui, e neppure dal gruppo che si era annidato nel ministero da cui dipendono tutti i lavori pubblici. «Lupi deve dimettersi – afferma la presidente dei senatori di Sel Loredana De Petris – ma il problema della corruzione non si risolverà senza cancellare la Legge Obiettivo del 2001 che è il vero elemento criminogeno. Del resto, Incalza al ministero chi ce l’ha portato se non il padre di quella legge, l’allora ministro Lunardi?».