I social media, e nel caso specifico Facebook, sono ancora utilizzati dalle testate quasi prettamente come canali di distribuzione dei contenuti prodotti.

In questa analisi sono presi in esame i primi 5 newsbrand per total audience secondo i dati audiweb di luglio 2016: La Repubblica, il Corriere della Sera, Tgcom, Ansa e La Gazzetta dello Sport.

Parliamo di due giornali tradizionali, generalisti, un pure player, Tgcom, un’agenzia di stampa e un giornale sportivo. Categorie diverse di giornalismo le cui strategie online si contraddistinguono per interessanti differenze e similarità.

L’analisi è stata condotta sulla totalità dei post pubblicati su Facebook nel mese di agosto 2016.

Questa serie di grafici vuole raccontare il modo in cui vengono utilizzate le peculiarità di pubblicazione di Facebook e quali risultati queste attività ottengono coi rispettivi pubblici, proponendo una serie di ipotesi e di riflessioni sui passaggi salienti.

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Il primo grafico riferisce le quantità di contenuti pubblicati da parte delle 5 pagine ufficiali.

II Corriere della sera supera i 3500 contenuti pubblicati in un mese, sopravanzando di circa 1000 post la Repubblica, sintomo di come i giornali tradizionali tendano a replicare i contenuti diverse volte nel giorno medio, aumentando in maniera esponenziale la media di pubblicazioni quotidiane.

 

 

Segue TgCom, che per quanto generalista si mantiene sotto la soglia dei 2000.

Interessante la posizione di Ansa che, in quanto agenzia, tende a coprire inevitabilmente e quotidianamente la maggior parte delle informazioni, pur tenendo un soglia inferiore di post su Facebook.

 

Chiude La Gazzetta dello Sport con meno di 1000 post, dato dovuto a una produzione di informazioni sicuramente più settoriale.

La quantità di contenuti pubblicati non recita informazioni di carattere qualitativo sulle strategie, ma dice molto sulla comprensione delle dinamiche degli strumenti, con i giornali tradizionali che sembrano spingere l’acceleratore su quella che, di fatto, è diventata la prima fonte di traffico per i propri siti web.

Facebook si dota di un algoritmo per gestire la quantità di contenuti visualizzati dagli utenti online e il ruolo di un social media manager, in primis, è quello di comprendere come le dinamiche tecniche della piattaforma possano essere valorizzate in sede strategica.

C’è stato un periodo in cui le immagini sembravano essere premiate dalla piattaforma in termini di portata (numero di utenti raggiunti da un contenuto) per cui abbiamo assistito alla diffusa pratica di pubblicazione di foto con link agli articoli in didascalia.

Quest’ultima pratica continua a mantenere uno zoccolo duro anche per far leva sulla percezione visiva dei lettori impegnati a scrollare rapidamente le informazioni con il proprio smartphone.

Analizziamo nel dettaglio, quindi, come le pagine in esame articolino la propria strategia tra le facoltà di pubblicazione concesse da Facebook: status, foto, link, video, e live.

Strategie di pubblicazione

ANSA.it punta per il 74,70% sui link, ed è la quota minore destinata rispetto a tutti gli altri che vedremo. Immagini e video rappresentano circa il 18% dei contenuti, con i secondi preferiti alle prime. Si fa notare anche un discreto uso di status, una pratica non diffusa che è stata utilizzata in particolar modo durante le olimpiadi per riportare notizie presumibilmente in tempo reale, linkando in ogni caso l’informazione sul sito ufficiale. Una scelta di difficile comprensione.

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Per il Corriere della Sera l’utilizzo dei link sfiora il 90% (88,07%) con il 10,6% destinato alle foto. Si registra un 1% di status che lascia sostanzialmente le briciole ai contenuti video, sia live che pubblicati nativamente sulla piattaforma. I video negli ultimi mesi si stanno contraddistinguendo come la tipologia preferita dagli utenti e dalla piattaforma, perché particolarmente premiati da portata e autoplay. Recentemente Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, ha annunciato un futuro quasi unicamente video previsto da qui a 5 anni. A queste dichiarazioni sembra essere seguita una corsa ai contenuti video, talvolta anche più di quanto non se ne necessiti. Il Corriere, per ora, dimostra di ignorare questa tendenza.

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La Repubblica sembra essere più attenta alle ultime tendenze sia algoritmiche che di utilizzo. Il giornale diretto da Calabresi, reduce dall’esperienza a La Stampa che resta tuttora uno dei giornali più interessanti nella gestione della propria presenza sui social, si contraddistingue per un’attenzione al visuale che seppur minoritaria viene gestita in modo interessante. I contenuti visivi, foto, video e live, sono circa il 14% di cui il 4,6% è rappresentato dalle dirette. Una porzione di post che non vede eguali nei casi analizzati, frutto anche del rilancio dei contenuti prodotti in diretta dalle varie Repubblica Milano, Repubblica Napoli etc. Non c’è traccia di status, con il giornale che evidentemente prevede anche per le breaking news un accesso all’informazione mediante un’interfaccia visiva, che sia un link o un’immagine.

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Tgcom24 pubblica per il 91,48% link e nessuno status. Anche in questo caso la distribuzione di contenuti video è poco meno di un timido accenno che si aggira sul mezzo punto percentuale. Le foto coprono il 7,37% della strategia. Per essere un pure player sembra mancare una maggior attitudine alla produzione di contenuti nativi sulle piattaforme, elemento in cui invece si contraddistingue, ad esempio, Fanpage con il rilancio di meme di intrattenimento, ma anche informativi, oltre che video pubblicati sulla piattaforma proprietaria e su facebook video.

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Anche la rosea pubblica prevalentemente link (86,83%) con la restante parte destinata a contenuti visivi e in minima parte agli status. La quota minoritaria per i contenuti video della pagina de La Gazzetta dello Sport non è sicuramente attribuibile a un periodo di poco fermento dal punto di vista sportivo, viste le recenti olimpiadi che si sono tenute esattamente nel periodo della rilevazione.

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In generale i 5 newsbrand analizzati dispongono di piattaforme proprietarie di video sharing e le strategie oscillano da un utilizzo quasi esclusivo di queste (è il caso del Corriere) a un utilizzo variegato, che preveda la proposizione di un altro genere di contenuti, specie se live, direttamente su Facebook, come raccontato nel caso di Repubblica.

Risultati a confronto

La misurazione delle performance delle strategie sui social media è un tema molto dibattuto tra gli esperti. La metrica convenzionalmente utilizzata è quella definita engagement, un tasso di interazione che è la risultante del rapporto tra le interazioni (like+ share+ commenti) e la quantità di pubblico che visualizza i contenuti (portata o reach) in un determinato periodo d’esame. Trattandosi in questo caso di dati estratti, non avendo quindi accesso ai dati di portata che possono essere visualizzati solo da chi dispone dei dovuti accessi, le misurazioni sono effetto del rapporto tra la quantità di interazioni ricevute dai contenuti in relazione al numero di post pubblicati, nel periodo di un mese.

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Coinvolgimento o «engagement»

Come detto, la misurazione dell’engagement prevede la somma indistinta di ogni genere di interazione come dividendo del rapporto. Si tratta di un errore, o per meglio dire una tendenza diffusa ma discutibile. Diversi tipi di interazione recitano inevitabilmente diversi tipi di posizioni da parte degli utenti.

Il peso attribuibile alle tre interazioni – like, condivisione e commento -, può essere correlato al tempo che un utente impiega a produrla.

Di fronte a diversi tipi di contenuti, che ci coinvolgono più o meno di altri, la nostra decisione di attribuire un like, scrivere un commento o pensare di condividerli con il nostro gruppo di amici sarà sicuramente influenzata dal nostro coinvolgimento.

Non sempre un contenuto a cui si sceglie di mettere il «mi piace» è esattamente un contenuto che vorremo condividere coi nostri contatti.

A queste casistiche è dovuta la volontà di non sommare questi valori indistintamente, andando a delineare tre metriche diverse che rispondano a interazioni (e intenzioni )specifiche.

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Una sorta di applausometro

L’applause rate assimila l’attribuzione di un mi piace a un applauso. Un’interazione fugace, di approvazione, che presumibilmente non richiede lunghi tempi di produzione.

Nell’analisi dell’applause rate dei 5 newsbrand in esame vediamo sovvertire la gerarchia della frequenza di pubblicazioni inizialmente vista. È la dimostrazione che la quantità di contenuti non risponde alla quantità di interazioni ricevute con i risultati. La quantità, da sola, non premia.

Come evidente dal grafico che segue, la Gazzetta dello sport, ultima per quantità di post pubblicati, è prima per applause rate. Le motivazioni e le interpretazioni di questo dato possono essere di vario genere: sicuramente influisce il periodo di Olimpiadi e informazioni di calciomercato ma parliamo in ogni caso di informazioni che saranno sicuramente state trattate anche dalle altre pagine analizzate. Il vero fattore vincente in questo caso potrebbe essere la possibilità, e la capacità, di avere un pubblico strettamente in target.

Da non trascurare è il fatto che diversi soggetti incontrino diversi tipi di pubblici, che possono essere più inclini a produrre un determinato tipo di interazione piuttosto che un’altra. Ad esempio, il pubblico sportivo potrebbe essere un pubblico incline all’interazione fugace.

La Repubblica e Tgcom, invece, dimostrano una certa efficacia nella propria strategia, posizionandosi per applause rate così come si posizionano per frequenza di pubblicazioni. Il Corriere registra un dato evidentemente negativo, che non vede premiare una strategia di pubblicazione massiva. Ansa chiude la gerarchia, raccogliendo un applause rate tuttavia in linea con la quantità di contenuti che va a disseminare su Facebook. Vale la pena precisare che trattandosi di un’agenzia i margini operativi in termini di storytelling sono ovviamente limitati.

Come detto, non tutte le interazioni sono uguali e questo asserto si configura come attendibile nel grafico che segue.

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Effetto amplificazione

Le quote relative all’amplification rate, rapporto tra condivisioni e pubblicazioni, non replicano i risultati precedentemente raccontati.

La pagina di Repubblica sembra essere la più incline a raccogliere condivisioni, scavando un importante solco rispetto alle altre. Segue Tgcom, con la Gazzetta, precedentemente a guidare la gerarchia, che si colloca in terza posizione.

I risultati restano modesti per il Corriere e ANSA, con il primo che sconta un grave ritardo rispetto all’omologo Repubblica.

Vale la pena precisare, specie quando si tratta di misurazioni relative a condivisioni e commenti, che una quota superiore non risponde necessariamente a un fattore positivo. Su Facebook, e sui social in genere, non è inusuale vedere condividere contenuti per esprimere dissenso o per portare in evidenza determinati errori. Anche questa è una delle ragioni per cui è sempre preferibile declinare il racconto delle misurazioni in diversi tipi di coefficienti.

Quanto detto vale ancor di più per i commenti, dove spesso si annidano dichiarazioni di dissenso.

Conversation Rate alla mano, in questa sede è possibile asserire che la Repubblica si conferma il newsbrand che stimola maggiormente le conversazioni, raccogliendo il maggior numero di commenti in relazioni al numero di pubblicazioni. Il pubblico sportivo de La Gazzetta dello sport si conferma interattivo, portando la Gazzetta davanti a Tgcom24, con Corriere e ANSA che confermano i risultati dell’amplification rate.

L’importante risultato raccolto da Repubblica è quasi sicuramente attribuibile a una strategia che, come visto, premia l’utilizzo dei video in diretta, che sono notoriamente il format che maggiormente porta gli utenti a rilasciare commenti dal vivo come forma di partecipazione a ciò che stanno visualizzando.