Dal fuoco di Olimpia alle bombe di piazza Fontana. La specialità degli anni 60 in Italia, è che chi li ha vissuti come romanzo di formazione (Vespa o Lambretta, Sanremo o Bandiera gialla, Geloso o Lesa, jukebox o mangiadischi) li può rimescolare come vuole. Triturare e passare al setaccio. L’immaginazione al potere scandivano gli studenti del Maggio francese. Peccato di gioventù. Il Massimo Sgorbani del Dopo Salò, escursione drammatica in tre tempi nei deliri della penisola uscita dal fascismo, felicemente avviata con Arcitaliani, e in attesa del definitivo approdo berlusconiano, licenzia la seconda tranche dal titolo sbarazzino Mille brividi d’amore. Che l’altra sera, montata dal regista Gianfranco Pedullà, ha debuttato al Teatro delle Arti di Lastra a Signa. Sgorbani evita la trappola (o il ricatto) del Sessantotto, scarta la meglio gioventù, schiva la trinità Kennedy, Kruscev, Papa Giovanni, e affida l’investitura a Pasolini, testimoni Tonino e Graziella, i giovani sposi dei Comizi d’amore, scaraventati di lì a poco, loro malgrado sul set della Ricotta, terremotato dal twist di Giovanni Fusco.

Quelli erano i tempi. Famelici e alluvionali, irrorati di una modernità che farà «boom», destinati al Sorpasso lungo il nastro d’asfalto dell’Autostrada del Sole (novella icona, 1964, dell’Unità d’Italia), premiati dal Nobel a Giulio Natta (1963), l’inventore del Moplen, illuminati a giorno dall’Iri, trastullati dalle canzonette quasi una striscia di scacciapensieri e sventrati da inaudite catastrofi, una su tutte il Vajont, 1963, il nostro Titanic. Pedullà, consapevole dell’urgenza che sta dietro quella decennale panoramica, si predispone all’ascolto. Senza strafare. E noi con lui. Dosa i ritmi da ballata popolare (quindi «pop»), rimescola atmosfere e drena i «messaggi», il consumismo, l’alienazione, Olmi e Meliés, i musicarelli e i borgatari, i casini e la lotta di classe, un occhio al Pasolini antitelevisivo con l’innocenza di chi quella scatola magica, come le gambe delle Kessler, la scopre per la prima volta.

I più vecchi riconosceranno antiche gag, i vocalismi di Mina, chi assaporerà, come eravamo bravi allora!, gli avveniristici slogan di Carosello. Ma più degli altri sarà l’acqua sbalzata fuori da quella diga a pianificare e irrigare il futuro del Paese. Nonostante il Volare di Domenico Modugno. Corale l’allestimento e solidali gli interpreti.