Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay? Queste le domande immesse nel dibattito pubblico dalla crociata neofondamentalista che ha mobilitato una vasta compagine di attori e istituzioni, principalmente religiosi, ultimo Papa Francesco, ma anche di estrema destra, come di «sinistra», accomunati dalla condivisione di prospettive conservatrici, e reazionarie, in materia di genere, corpi, sessualità.

Il paradosso di questa crociata, tuttavia, è che ci impone di resistervi, senza desistere. Rispondervi, specialmente dalla prospettiva di chi, a vario titolo, ha a che fare con i bambini e con gli adolescenti, significherebbe innanzitutto legittimarle, e dunque legittimare il discredito, a esse sotteso, nei riguardi delle teorie del genere. Il «Gender» infatti non è che il modo attraverso cui gli anglosassoni si riferiscono a quella categoria che in italiano, e da molto tempo, si è unanimemente tradotta con «genere», benché i suoi usi e le sue declinazioni possano differire notevolmente, a seconda degli ambiti disciplinari o di movimento, dei contesti, o dei fini. Più importante di questo, però, è dire che quelle domande individuano con estrema precisione le strutture elementari del potere a partire dalle quali le teorie del genere – nelle loro differenti genealogie femministe, gay/lesbiche, queer, poststrutturaliste, materialiste, intersezionali – prendono le mosse per le proprie analisi e, in modo meno esplicito, per i propri obiettivi normativi, e di lotta. Queste grandi strutture sono lo statuto della differenza sessuale («le differenze tra maschi e femmine»); la riproduzione («distruggere la famiglia naturale»); la sessualità («diventare tutti gay»).

Tali domande, con tutto il loro portato reazionario, potranno far sorridere o indignare, potranno spaventare i più progressisti all’idea che qualcosa sia andato storto nel progresso lineare della storia «verso il meglio», o, al contrario, potranno riscuotere – e, di fatto, riscuotono – consensi, in modo trasversale agli schieramenti, innervate come sono dalla paura che i fondamenti della nostra cultura vengano meno. E questi fondamenti, ciascuno dei quali coincide con ciascuna delle tre grandi strutture di potere individuate dalle domande neofondamentaliste, sono, tutt’oggi, questi: l’autoevidenza della differenza sessuale; la centralità della famiglia nucleare; l’eterosessualità, sullo sfondo della mutua esclusività degli orientamenti sessuali, e dei generi. Quelle domande ci suggeriscono che l’ordine simbolico e sociale dipende dalla capacità di tenuta di questi tre fondamenti. Dal fatto, cioè, che dall’eterosessualità continui a dipendere l’istituzione dei generi, dai quali dipende l’intelligibilità del sesso.

Quelle tre domande, benché in modo del tutto involontario, hanno pertanto il pregio di indurci a ragionare sul «genere» prescindendo dalla distinzione che, di solito, si tende a stabilire tra il «sesso», l’«identità di genere» e l’«orientamento sessuale». Con la parola «gender» le domande reazionarie alludono a tutte e tre queste cose. E può essere importante, forse, mettere sotto cauzione quelle posizioni analitiche che considerano il sesso, l’identità di genere o l’orientamento sessuale singolarmente, sottovalutando il nesso strutturale che li nega: quel nesso è l’eteronormatività. L’eteronormatività esercita sulle identità di genere e gli orientamenti sessuali – e la scuola inevitabilmente è uno dei luoghi privilegiati della sua ri-produzione – una funzione che è produttiva e, a un tempo, repressiva. D’altronde, sono le stesse voci di quella moltitudine che quotidianamente sfida l’eteronormatività, anche all’interno della scuola, a testimoniarlo. Si tratta di voci che aprono nuovi campi di possibilità, di sperimentazione e di lotta, e che restituiscono una ricchezza di posizionamenti, desideri, e bisogni che non possono essere compressi da alcuna dialettica, nemmeno da quella tra il neoliberismo e il neofondamentalismo. E, a ben vedere, l’eteronormatività non è che l’inatteso punto di convergenza tra queste due modalità, apparentemente contrapposte, attraverso le quali opera oggi il potere.

*Curatore del volume «Il genere tra neoliberalismo e neofondamentalismo», Ombre Corte