Era dai tempi della movida che a Madrid non governava la sinistra. Dall’epoca di Enrique Tierno Galván, indimenticato sindaco dell’apertura postfranchista della città e del paese alla modernità. C’è voluta, 24 anni più tardi, una seconda transizione perché la sinistra – con la lista Ahora Madrid – tornasse al comando della capitale con uno dei personaggi più promettenti di questa rigenerazione democratica.
Manuela Carmena, madrilena di 71 anni, è un ex giudice che fu membro del consiglio generale della magistratura. Una carriera a difesa degli emarginati: da avvocato, degli operai incarcerati sotto la dittatura e più tardi, già come magistrato, a difesa dei diritti dei prigionieri dell’Eta, mentre lei stessa era sotto la minaccia dell’organizzazione armata basca. Fu una delle fondatrici dello studio di avvocati giuslavoristi della calle Atocha in cui, nel 1977, un commando di terroristi di estrema destra composto anche da neofascisti italiani commise uno degli attentati più cruenti della transizione. Verso la mezzanotte di domenica, nel simbolico passaggio da un vecchio ad un nuovo giorno, Camena è comparsa davanti ai madrileni per dire che davvero, questa volta, «ha vinto la maggioranza sociale per il cambio».
Lei ci credeva davvero: lo aveva scritto, ancor prima della sua candidatura, in un libro intitolato con ottimistica preveggenza «Por qué las cosas pueden ser diferentes: reflexiones de una jueza». E il perché si legge anche nel programma, che promette economia sostenibile, trasparenza, inclusione sociale e una città a misura d’uomo. Carmena è riuscita nell’impresa di strappare (alleanze con il Psoe permettendo) la capitale all’ultraliberale ex presidente della regione Esperanza Aguirre (che raccoglie comunque la maggioranza dei voti e un seggio in più). Col volto terreo, al termine della notte elettorale, Aguirre è comparsa davanti alle telecamere per dire che «il Pp ha imparato la lezione. Sappiamo di essere passati dal 48 al 34%. È colpa della crisi, della corruzione e di un certo rifiuto verso i politici». Anche se per il rotto della cuffia, la regione di Madrid potrebbe restare al centrodestra (che perde il 18%): qui l’ex prefetto madrileno Cristina Cifuentes è riuscita a conquistare 48 scranni che, sommati ai 17 di un’eventuale alleanza con Ciudadanos, lascerebbero in minoranza, per un solo seggio, l’asse dell’ex ministro dell’Istruzione socialista Ángel Gabilondo (37 seggi, uno in più rispetto al 2011) e José Manuel López di Podemos (27).
Sia i socialisti che Podemos hanno manifestato una soddisfazione che ha però un retrogusto un po’ amaro: «siamo contenti del risultato, soprattutto considerando il breve periodo di tempo in cui è stato conseguito – ha dichiarato López. Podemos è pronto a discutere con tutti, anche con Ciudadanos, pur di strappare il potere al Pp». Non soddisfano invece i risultati di Izquierda unida, commentati significativamente non da Alberto Garzón – segretario in pectore e sostenitore dell’accordo con Podemos – ma da Cayo Lara esponente della vecchia guardia del partito, che a Madrid ha scelto di correre da sola.
Iu non ha raggiunto lo sbarramento del 5% né alle regionali né alle municipali e pertanto non ha più rappresentanza in nessuna delle sue sedi, lasciando vuoti 13 seggi in regione e 6 al comune. «Abbiamo perso la fiducia degli elettori e dobbiamo conquistarla», ha detto Lara. Sempre ammesso che le lotte intestine non cannibalizzino quello che resta del partito: «Garzón – ha attaccato il candidato sindaco di Iu Raquel López– è un miserabile e sta lavorando dall’interno per far scomparire il partito».