«Lo sai quanto ci guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno», dice Salvatore Buzzi, presidente della Cooperativa 29 giugno (aderente alla LegaCoop), durante una telefonata intercettata dai Ros nell’ambito dell’inchiesta sulla «mafia capitale». Poi, in un’altra conversazione: «Tutti i soldi utili li abbiamo fatti sui zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati». Nell’ordinanza di arresto firmata dal Gip Flavia Costantini si riportano i contatti dei sodali di Buzzi con Emanuela Salvatori, responsabile rom e sinti del V Dipartimento del Campidoglio.

Gli investigatori in più parti riferiscono «la capacità» dei sodalizi indagati «di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell’amministrazione locale, al fine di ottenere l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare “i campi nomadi”, la pulizia delle “aree verdi” e dei “Minori per l’emergenza Nord Africa”, tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi».

E in effetti è sulle «emergenze», lo sappiamo – in questo caso rom, rifugiati e minori non accompagnati, altre volte sono state le calamità naturali – che si costruisce la fortuna della criminalità organizzata. Non a caso il 21 maggio 2008, l’allora premier Silvio Berlusconi firmò il decreto per dichiarare lo «stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi» che venne poi prorogato fino a tutto il 2011. Ed è la Capitale il laboratorio per la realizzazione del “sistema campi”, più volte stigmatizzato dalle istituzioni europee.

Fu «proprio nel triennio 2009-2011 che la giunta Alemanno – racconta Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio – spese, per la gestione degli 11 insediamenti istituzionali nei quali vivono circa 5.000 degli 8.000 rom presenti a Roma e per le 54 azioni di sgombero forzato che hanno coinvolto circa 1.200 rom, oltre 34 milioni di euro l’anno». Un conto presto fatto se si aggiunge alla gestione corrente del “sistema campi”, che costa al Campidoglio circa 24 milioni l’anno, i 32 milioni reperiti dal Viminale per accompagnare il triennio dell’emergenza, durante il quale tutto era permesso, e i soldi venivano erogati ad affidamento diretto, senza bandi di concorso. «In realtà è prassi anche della gestione corrente dei campi», continua Stasolla.

Prendiamo per esempio il “villaggio della solidarietà” di Castel Romano, il più grande di Roma, quello che tra il 2010 venne ampliato per accogliere le famiglie rom sgomberate dai “campi tollerati” di La Martora e Tor de’ Cenci. E per il quale, secondo l’ordinanza di arresto, Buzzi avrebbe chiamato il Comune per chiedere «l’allargamento dell’allargamento». Secondo il dossier redatto dalla “21 luglio”, per ospitare 989 abitanti sono stati spesi nel 2013 (cifra simile anche negli anni precedenti) 5.354.788 euro, di cui il 70,7% per la gestione, il 17,1% per la sicurezza, il 12% per la scolarizzazione e zero per l’inclusione sociale. Il 93,5% dei fondi sono stati erogati in affidamento diretto ai 16 soggetti operanti. Ma è Eriches (l’Ati della cooperativa di Buzzi, la 29 giugno) che si aggiudica la maggior parte del malloppo: il 36,1% dei fondi.

Complessivamente, per segregare 4391 rom negli 8 villaggi attrezzati, si sono spesi 16,4 milioni di euro l’anno; per concentrare 680 persone nei 3 «centri di raccolta rom», i romani hanno pagato altri 6,2 milioni circa; e per allontanare 1231 persone nei 54 sgomberi forzati del 2013 se ne sono andati altri 1,5 milioni.

L’altro grande affare è quello dei rifugiati e richiedenti asilo, per ciascuno dei quali gli enti gestori che vincono i bandi emessi dal Viminale attingendo ai fondi Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo) percepiscono 35 euro al giorno. Secondo l’inchiesta di Pignatone, Luca Odevaine, il capo gabinetto di Veltroni, si sarebbe adoperato (ma questo non è un crimine) per orientare i flussi di smistamento sul territorio italiano dei rifugiati facendo levitare da 250 a 2500 i posti assegnati a Roma.

Ma è sui minori non accompagnati che il «Mondo di mezzo», secondo gli inquirenti, concentra maggiormente le attenzioni. Ovvio, perché per ogni ragazzo straniero il budget erogato sale a circa 50 euro al giorno. Durante l’«emergenza Nord Africa» del 2011, a Roma arrivarono circa duemila minori, anche se «a volte, quando arrivavano nei centri, ci accorgevamo che in realtà erano adulti e dovevamo rifiutarli», racconta Gabriella Errico, presidente della cooperativa Un sorriso che gestisce il centro di Tor Sapienza balzato agli onori delle cronache. L’assegnazione della gestione delle strutture, in quel periodo, veniva fatta «solo ed esclusivamente dal Comune» senza bandi.

«Re incontrastato dell’assegnazione dei progetti per l’accoglienza rifugiati e minori è il consorzio Ericles che fa capo alla Coop. 29 giugno – racconta Claudio Graziano, responsabile rifugiati dell’Arci – seguita dalla Domus caritaris, del Vicariato e da Axilium e Arciconfraternita, eredi della vecchia La Cascina, di Comunione e liberazione». Tutti gli altri enti gestori arrivano largamente dopo. «Anche se – aggiunge Graziano – districarsi nel ginepraio di enti che gestiscono i centri per minori è difficilissimo perché cambiano continuamente nome».

Non solo: tra centri affidati dagli enti locali con i fondi Sprar e quelli aperti dalla prefettura nei periodi di “emergenza” «nessuno sa bene quante siano le risorse e come vengono distribuite». «In tanti anni che lo chiediamo – conclude Graziano – non siamo mai riusciti ad ottenere un tavolo di coordinamento di questi servizi di accoglienza».