Ieri, nell’ospedale San Paolo di Napoli, è morta una giovane donna originaria dello Zimbabwe. Il suo nome, Mary Jacob, si aggiunge a quelli di tanti che, nella stessa giornata, sono deceduti nei reparti degli ospedali italiani. Ma Mary Jacob, probabilmente, sarebbe ancora viva se non fosse stata una straniera, e se la sua fisionomia e il colore della sua pelle non fossero stati così diversi dai nostri. Presentatasi, a seguito di un inizio di infarto, al pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, sarebbe stata respinta dalle guardie giurate che vi svolgono servizio di vigilanza. Da qui, dopo una breve permanenza nella propria abitazione, la corsa verso l’ospedale San Paolo di Napoli dove avrebbe ricevuto tutte le terapie d’emergenza, rivelatesi purtroppo inutili. E, così, su una morte comunque drammatica si proietta l’ombra crudele della xenofobia.

E non solo – lo sappiamo bene – in quel pronto soccorso pubblico.

A un centinaio di chilometri da lì, l’intolleranza si indirizza verso altri esseri umani, segnati anch’essi dal peso della diversità etnica. Siamo sulla costa salernitana, e, se volessimo fare il verso all’inchiesta romana titoleremmo questo articolo «Mafia Paestum». Ma sarebbe un errore. Il fatto che queste vicende si svolgano in quella provincia non autorizza a dedurre che emergano interessi camorristici nella pessima gestione del centro Sprar della cittadina campana. E tuttavia quel titolo avrebbe una sua sensatezza perché sulla pelle di tanti richiedenti asilo, immigrati, rom – a Roma, in Campania e in tutt’Italia – si consumano iniquità e speculazioni.

Le parole dei richiedenti asilo ospitati nell’hotel Engel di Paestum, contenute in un appello reso pubblico dal deputato Khalid Chaouki, confermano ancora una volta le gravissime condizioni in cui versano molti centri di accoglienza per persone vulnerabili. Si parla del gestore e degli addetti al centro armati di pistola, i quali sottopongono i profughi a minacce, intimando silenzio e ubbidienza perché lì sono ospiti, «in casa altrui», e devono rispettare «le regole» perché loro sono «la mafia».

Così, alla lettera, si sarebbero espressi alcuni degli operatori: e così viene riportato – scritto in stampatello ed evidenziato: MAFIA – nel testo in inglese sottoscritto da 36 ospiti della struttura. Questi ultimi lamentano ancora di non usufruire di assistenza medica e, quando questa è stata indispensabile, di averla dovuta pagare; e ancora, di non aver ricevuto alcun sussidio e nemmeno indumenti, biglietti del bus e tessere telefoniche. Alle loro richieste il padrone dell’albergo (o chi viene identificato come tale), con una pistola in mano avrebbe risposto: «Vi ho dato un posto, non ho soldi per voi».

A due giorni dalla visita fatta da Chaouki ho ricevuto una seconda lettera in inglese, sottoscritta da tutti gli ospiti, in cui si legge: «L’11 novembre scorso in 32 siamo andati in Questura e Prefettura per lamentarci della situazione. Quella notte i Carabinieri sono venuti a controllare e hanno visto la pistola. Ma, il gestore ha mostrato il porto d’armi e loro non hanno fatto niente». Poi, la scorsa notte (quella tra giovedì e venerdì), «la polizia ci ha interrogato e l’interrogatorio è avvenuto davanti al padrone della struttura e allo staff. Alla luce delle esperienze passate, avevamo molta paura, la polizia ha buoni rapporti con lui e nessuno potrebbe dire che lui ci minaccia».

Una simile situazione impone interventi immediati, che prioritariamente tutelino l’incolumità e la sicurezza dei profughi. La qual cosa è stata garantita finora dal Prefetto di Salerno, Gerarda Pantalone, per le ore notturne, ed è già un primo risultato. Ma l’inquietudine resta alta in quanto i richiedenti asilo si trovano letteralmente alla mercé di un personale che dovrebbe assisterli e che sembra rappresentare, piuttosto, una minaccia. Dunque, la sola soluzione sembra essere quella di trasferire altrove i profughi, affinché siano garantite condizioni di accoglienza che soddisfino i loro bisogni, tutelino la loro incolumità e, allo stesso tempo, rispettino la loro dignità. E torniamo, così, al punto di partenza.

L’assistenza a migranti, richiedenti asilo, rifugiati e rom rappresenta un’esigenza ineludibile: non è questione di filantropia o buoni sentimenti, bensì di rispetto dei diritti della persona. E quell’assistenza necessita di risorse adeguate e di operatori competenti. Mancano talvolta le prime e, troppo spesso, mancano i secondi. È qui – nell’insufficiente disponibilità di mezzi e nell’approssimazione e talvolta disonestà degli addetti – che si insinuano malaffare e malavita.

Le vicende criminali delle cooperative guidate da Salvatore Buzzi – e di quelle, chissà quante, attive dal nord al sud e alle isole – non devono portare certo a ridurre ulteriormente i fondi, bensì a vigilare con assiduità e intelligenza sul loro utilizzo. Oggi il rischio più grande è che passi nel senso comune così come tra i decisori pubblici un sillogismo perverso. Se speculatori e delinquenti si arricchiscono sugli immigrati la soluzione c’è ed è semplice: abolire gli immigrati.