Alla fine di quattro giorni di dibattito diurno attendista, battaglie notturne all’arma bianca, albe insonni, assenza di Emma Bonino e calo di partecipazione, il giovane Riccardo Magi – ex consigliere combat del Campidoglio – domenica scorsa è stato eletto segretario dei Radicali italiani dal congresso di Chianciano. Nonostante Pannella. Che dal palco non ha parlato, salvo poi emettere la sentenza ai microfoni di Radio Radicale: «Nella relazione di Magi c’è tutto e niente, di nuova proposta non c’è niente, è un minestrone». Pannella, senza esporsi alla platea dei congressisti, prima ha annusato l’aria di minoranza per sé e i suoi; poi ha tentato il colpo basso. Nella notte fra sabato e domenica, quando tradizionalmente il leader offre la sua mela al nome preferito, a sorpresa ha proposto che la direzione chiedesse la sospensione del voto. Richiesta irricevibile per un organismo in scadenza: che infatti dopo ore di tormenti ha respinto l’idea dell’anziano leader con la delicatezza di non farla sembrare una rottamazione. Formalmente le distanze si sono misurate sulle «priorità» politiche. Magi propone una declinazione amministrativa del «diritto alla conoscenza», cavallo di battaglia di Torre Argentina. Per i fedelissimi di Pannella invece la priorità è il riconoscimento di quel diritto all’assemblea dell’Onu. Poi, capìta la mala parata, gli stessi hanno provato a sospendere il congresso buttandosi su una nuova «priorità assoluta»: un gruppo di lavoro intorno a un documento di accusa contro lo stato italiano sulle condizioni della giustizia e dei processi. Senza però avere la forza di presentare una propria candidatura. Alla fine Magi è eletto segretario, Marco Cappato presidente, Valerio Federico confermato tesoriere: tutti senza il sigillo pannelliano.

Ma al fondo del conflitto c’è il tentativo di un nuovo corso radicale per uscire dalle secche della crisi politica, economica e di vocazioni. Nuovo corso, solo potenziale, che però Pannella nega e disereda, come un figlio non riconosciuto. Magi è un radicale: con i suoi scioperi della fame (l’ultimo, per denunciare lo sperpero sui campi rom di Roma, prima dell’esplosione di Mafia Capitale) e il suo «estremismo della trasparenza» che lo ha reso indigesto anche al sindaco Marino, nella cui lista pure è stato eletto. Ma è un radicale del secolo in corso, arrivato alla militanza dall’ascolto della radio, non assiduo alle liturgie di Torre Argentina, poco incline alla lusinga (nel suo discorso ha citato una sola volta Pannella e una volta Bonino) e ormai irregolare della regola monastica della vita comunitaria. Pannella, malaccompagnato da quelli che i non amici definiscono «i falchi», anziché ispirare la ripartenza la disconosce. Ma senza aver più il potere di un’alternativa.

«Volete lasciarlo solo», è una delle accuse dei suoi fedelissimi risuonate a Chianciano contro i giovanotti in ascesa. E invece Pannella solo sembra essere rimasto per il vuoto che il cordone sanitario dei suoi gli sta facendo intorno. Alla fine anche l’uscente Rita Bernardini, pure molto pannelliana, dal palco ha annunciato di voler «stringere la mano al nuovo segretario». Mentre Pannella ai giornalisti si ostinava a indicare il nulla dopo di lui: «Anche se io dovessi andarmene presto, il nuovo non lo vedrò». Ingenerosamente, soprattutto verso se stesso.