È apparso subito evidente, all’indomani della strage di Parigi, che si è di fronte a una minaccia mortale per le società europee, ma anche per il mondo arabo e musulmano. E bene hanno fatto le comunità islamiche italiane che hanno deciso di scendere in piazza in solidarietà con le vittime e contro il terrorismo di Daesh il pomeriggio di sabato 21 novembre a Roma (alle ore 15 in piazza Santi Apostoli).

Spetta, infatti, soprattutto ai musulmani riconoscere, isolare e denunciare qualsiasi forma di estremismo fondamentalista, pronto a dotarsi di armi micidiali.

E spetta a noi ora, cittadini italiani, associazioni laiche e religiose, donne e uomini di buona volontà, il compito non lieve e non facile di accogliere con serietà quest’invito per affermare i valori condivisi delle società democratiche.

Dunque, le musulmane e i musulmani d’Italia, in un simile momento storico sono nostri preziosi alleati, in una sfida contro il terrorismo che vinceremo se e solo se saremo capaci di rimanere uniti intorno al valore della intangibilità della vita umana. E se, e solo se, saremo mossi dalla netta condanna di qualsiasi forma di fondamentalismo.

Per questo i musulmani d’Italia e d’Europa vanno sostenuti e tutelati nei confronti di chi li associa a un Islam ridotto alla sua dimensione aggressiva e autoritaria e alla sua faccia intollerante e feroce. E con ciò si dimentica che la guerra in corso è, in primo luogo, una lotta all’ultimo sangue per l’egemonia all’interno del mondo musulmano, perfino al di là del conflitto tra sciiti e sunniti.

Come ha scritto Amos Oz, questa «prima che essere una guerra contro l’Europa e l’Occidente, è una guerra interna all’Islam, per il suo cuore. È un conflitto sul significato e l’identità dei musulmani». Se non si capisce questo, è inevitabile che le opinioni pubbliche occidentali – smarrite e insicure – creino nuovi mostri e coltivino nuovi incubi.

Si finisce così col guardare – cedendo a una equazione perversa – i flussi di profughi che arrivano sulle nostre coste come potenziali seminatori di terrore. E, invece, la gran parte di quanti giungono in Europa fugge da guerre e persecuzioni.

Fugge, quindi, da quello stesso terrore che ha colpito Parigi e da anni colpisce paesi come la Nigeria, la Siria, l’Iraq, il Mali e l’Afghanistan.

A loro dovremmo dare la possibilità di arrivare nel nostro continente con viaggi legali e sicuri. Ma mese dopo mese le nostre risposte si rivelano sempre più povere e inadeguate: il programma di ricollocamento stenta a partire, le barriere si moltiplicano e, nelle ore successive alla strage di Parigi, alcuni Stati hanno fatto marcia indietro sugli impegni presi per la gestione della crisi umanitaria in atto.

Garantire il diritto d’asilo e consentire ai profughi di essere accolti con dignità e inclusi nelle nostre società è un altro passo indispensabile nella difesa dei valori fondamentali in cui ci riconosciamo.

Lo si è visto in questi anni: quanto più escludiamo e segreghiamo e quanti più ghetti creiamo, tanta più miseria e tensione sociale finiamo col produrre.

Manca, all’Unione europea, un programma comune per l’immigrazione e per l’asilo; e, più in generale, manca una strategia condivisa in politica estera e di difesa. La necessità di pensare e attuare l’unità politica degli Stati membri, nonostante venga ribadita in tutte le sedi, passa obbligatoriamente attraverso una serie di scelte che gli stessi Stati dovrebbero fare. E anche in fretta.

L’incombenza della minaccia terroristica non fa altro che evidenziare fratture e contrapposizioni, le quali potrebbero rivelarsi fatali per l’obiettivo di un’Europa unita.