C’è una vena sommersa nel cinema di Margarethe von Trotta, affiorante nell’ultimo film Die abhandene Welt (Il mondo smarrito), che inaugura il 5 novembre la 37ma edizione del Festival del Cinema delle Donne di Firenze. Questo flusso che appare e scompare nell’ormai vasta filmografia di una regista spesso in Italia penalizzata per il suo femminismo ed il suo impegno politico, è una dimensione irrazionale e fantastica che attinge all’immaginario più antico della cultura tedesca (quello delle fiabe, per intenderci, ma anche quello di molta psicanalisi) e si integra inaspettatamente nel quotidiano contemporaneo dei suoi personaggi, sempre femminili. Nel corso del tempo il suo cinema si è sviluppato mettendo in scena volta a volta donne con un nome importante (Rosa Luxenbourg, Anna Harendt) e semplici donne della quotidianità, sempre però con un’attenzione agli aspetti meno scontati del femminile, ai legami simbiotici, ai rispecchiamenti, alle rivalità che subito si spengono e alla sopravvivenza del «magico», non come credo fideistico, ma come fantasma sotteso alle storie personali, come intuizione che guida verso la realizzazione di sé, come elemento perturbante che si fa destino, e conduce alla rivelazione di verità nascoste.
CATERINA NEL WEB
Nel mondo «smarrito» di quest’ultimo film c’è un padre collerico e possessivo ormai anziano, Paul, che nella sua solitudine è ossessionato dal fantasma/ricordo della moglie, e una figlia adulta e bohémien che canta nei locali, chiamata come sola interlocutrice a risolvere l’angoscia paterna, acuita dall’immagine – trovata nel web – di Caterina, una cantante lirica somigliantissima alla moglie scomparsa. La donna vive a New York, e Paul spedisce la figlia Sophie oltreoceano a cercarla per liberarsi della sua ossessione. Ma lei è irritata dall’ingerenza della sconosciuta nella sua vita privata. Una serie di coincidenze – tra cui la simpatia dell’agente di Caterina – portano Sophie a scoprire che il soprano è in realtà una sua sorella maggiore, che sua madre Evelyn ebbe in Italia prima di sposare Paul ed affidò ad un’amica carissima, Rosa, che la portò con sé a New York. Qui Rosa, ormai in una residenza per anziani, pur nella sua smemoratezza senile, mette Sophie sulla strada della verità.
LA VERA STORIA
Attraverso vecchie fotografie, emerge la vera storia di Evelyn, madre divisa tra due uomini, Paul e Ralf, molto diversi tra loro, che invece sono fratelli, e insieme l’intensa amicizia di due donne legate per sempre dal segreto di una maternità clandestina e delegata, dal peso di un «non vissuto», di un vuoto incolmabile e invivibile per Evelyn. La storia fa pensare a un romanzo dell’800 calato nella realtà contemporanea e dislocato fra i tre paesi più cari alla regista (Germania, Stati Uniti e Italia), all’insegna della passione per la musica che lega tutti i personaggi. E invece la vicenda riflette in parte la vera storia di Margarethe, vissuta sempre sola con sua madre, che scopre solo dopo la sua morte l’esistenza di una sorella nata molti anni prima e data in adozione. Cosa di cui la madre non aveva mai parlato, malgrado le insistenti richieste della figlia di avere una sorella.
Questo fantasma infantile prende forma ben due volte nella prima produzione della regista, con i film Sorelle ed il successivo Anni di piombo, che le farà vincere il Leone d’oro a Venezia e le darà la notorietà. A Firenze è in programma anche Sorelle, film ormai dimenticato ma particolarmente caro alla regista, in cui appaiono per la prima volta le suggestioni del surrealismo, della mitologia germanica e della conflittualità tra passato e presente, tra vita «naturale» e vita cittadina, tema importante nel cinema tedesco fin da Aurora (1927) di Murnau. In questo film Maria ed Anna vivono insieme assumendo ruoli complementari quanto estremi, sino al soccombere di Anna, la più debole e introversa, che, rifugiandosi nei soli affetti familiari e rifiutando il contatto col mondo, cade in depressione e si suicida. Spinta dalla proverbiale coazione a ripetere, Maria cercherà di stabilire un analogo rapporto con Miriam, che ha però un temperamento molto diverso da Anna e, ribellandosi al ruolo che le viene imposto, finisce col mettere Maria di fronte al suo eccesso di efficientismo e di ‘maternage’, che riduce la vita al solo dovere e alla repressione dei desideri.
SORELLANZA
Il film è del ’79 e mette in scena, assieme al desiderio di solidarietà e di «sorellanza», le contraddizioni che esplodevano in quel periodo all’interno degli stessi gruppi femministi, fondati sull’esaltazione della complicità tra donne e su un’uguaglianza ideale che spesso si infrangeva contro il muro della realtà individuale. Nel «mondo smarrito» del nuovo film, prevale invece il «ritorno» del fantasma di Evelyn che, insistendo nelle ossessioni di Paul, lo spinge a cercare, e porta alla luce il suo atteggiamento autoritario e prepotente, il suo modo possessivo ed egoistico di vivere l’amore, che ha generato il tradimento e l’infelicità di sua moglie. Ma neanche la rivelazione che lei ha scelto Ralf, volgendosi verso chi le offriva un amore diverso, riesce a far prendere coscienza a Paul del suo modo sbagliato di amare. Riesce solo ad evocare una presunta rivalità da parte del fratello, ignorando completamente la sofferenza di Evelyn. E lo scontro fisico tra i due fratelli acquista il significato simbolico di una sfida tra passato e presente, tra due modi diversi di intendere l’amore. Nel finale del film, che vede tutti personaggi riuniti a New York mentre Paul è rimasto in Germania, fa grande tenerezza l’apparizione di Ralf, che ha trovato alla fine della vita la sua ragion d’essere e che, malgrado gli anni, fa parte di una nuova, utopistica umanità ideale che nell’immaginario di von Trotta può esistere solo nel «mondo nuovo» degli Usa.
In soli cinque giorni di programmazione, dovuti ad una assoluta mancanza di finanziamenti, il Festival di Firenze ha un programma molto intenso ed inedito. Nell’ultimo rapporto del MiBACT, non a caso viene definito Eccellenza Europea «per la continuità, il valore dei film, l’ampiezza del panorama, le retrospettive», mentre viene rilevata l’arretratezza dell’Italia nella regia e nella produzione femminili.