Dopo quella di Germania e Francia, arriva una frenata al Ttip anche dall’Italia. Un «forse no» tipicamente italiano: sì ad alcune critiche ma all’interno di una posizione ufficiale che rimane «pro Ttip».

Ieri il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha detto che nessuno deve pensare «che dalla mattina alla sera arriva un accordo commerciale di questa portata per un blitz di qualcuno», sottolineando che per dare vita a una simile intesa occorrono diversi passaggi e un percorso di democrazia ben definito: «Non si tratta di avere un potere di veto si tratta di costruire fino in fondo questo lavoro, vedere fin dove si può arrivare con la garanzia che, in particolare per l’Europa, un accordo di questa portata deve comunque passare dal vaglio dei parlamenti nazionali, del parlamento europeo, del Consiglio europeo e degli stati membri».

Quindi – ha puntualizzato Martina – «stiamo parlando di percorsi e di democrazia di decisione molto complessi e molto larghi: nessuno pensi che dalla mattina alla sera arriva un accordo commerciale di questa portata per un blitz di qualcuno».

Le dichiarazioni sono giunte proprio mentre a Roma sfilava il corteo di opposizione al trattato. Così come già era stato fatto in Germania mesi fa; anche in Francia l’opposizione popolare non è da meno. Sicuramente il numero di associazioni e organizzazione che un po’ ovunque si sta frapponendo tra Usa e Unione europea, pesa nelle valutazioni anche dei governi. Le proteste rappresentano voti, ad esempio, ma anche una parte della società civile che non può essere ignorata. Poi ci sono le questioni più squisitamente geostrategiche che influenza e non poco la «frenata» che è arrivata nei giorni scorsi da Francia e Germania. Berlino può permettersi di essere particolarmente scettica nei confronti del Ttip, anche alla luce dei suoi ottimi rapporti commerciali con la Cina, il vero e proprio convitato di pietra tanto del Tpp (l’accordo relativo all’area del Pacifico) quanto del Ttip.

La Francia è sulla stessa lunghezza d’onda. E se prendiamo anche la Gran Bretagna, che pure nel campo europeo è tra i più «possibilisti» al Ttip insieme all’Italia, l’adesione di Londra alla banca di investimenti cinesi voluta da Pechino, fa capire come la volontà sia quella di giocare a campo completamente aperto, permettendosi quindi di paventare lo spauracchio cinese proprio agli occhi di chi della Cina è più preoccupata, gli States.

E che il «lato asiatico» della faccenda (alla fine il Ttip produrrebbe «standard» occidentali, capaci di fare fuori la Cina) sia rilevante lo ha confermato ieri il senatore e sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, che ha rilasciato dichiarazioni in controtendenza rispetto a Martina: «La definizione di un’area economico-commerciale integrata tra le due sponde dell’Atlantico basata su standard elevati e sulla condivisione degli stessi principi di libertà e democrazia – ha detto Della Vedova – sarebbe il miglior presidio futuro dei nostri valori di fondo. Se le differenze e le ostilità prevarranno tra gli europei e tra Europa e Stati uniti, a trarne giovamento saranno la Cina e le altre potenze che, per ragioni del tutto comprensibili, stanno lanciando in modo sempre più assertivo la loro di sfida egemonica per i prossimi decenni; naturalmente sulla base dei loro standard».