Qualunque cosa sia effettivamente successa a Colonia alla fine dell’anno – un po’ di notizie e considerazioni attendibili le ho trovate nel servizio di Der Spiegel tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale – mi pare che se ne possano trarre, dal punto di vista di noi uomini, almeno due considerazioni.

Una riguarda il problema del tipo di relazioni da costruire con i maschi stranieri che cercano asilo e/o lavoro qui in Italia e in Europa.

Non mi piacciono i luoghi comuni contro il «politicamente corretto» (nel paese dei Grillo e dei Salvini preferisco catalanescamente un linguaggio politico corretto a uno scorretto) ma è vero che la sacrosanta esigenza di non subire o avvallare le strumentalizzazioni xenofobe non deve più far velo sul fatto che differenze sul piano della cultura e dei comportamenti, specialmente nei rapporti tra uomini e donne esistono, e non vanno rimosse.

Il Corriere della sera ha pubblicato uno dietro l’altro due articoli significativi. Nel primo si registrava il dato che tra i richiedenti asilo in Italia ben nove su dieci sono maschi. Sarebbe il primato di una tendenza generale. L’Europa del futuro quindi – si osserva – «rischia di essere troppo maschile e di soffrire così, inevitabilmente, un brusco aumento del tasso di criminalità». Poco dopo l’avverbio inevitabilmente torna nelle parole di un professore che ha analizzato la situazione in Cina e in India, dove le politiche del figlio maschio unico e l’aumento della popolazione maschile viene associata all’aumento dei reati e specialmente delle violenze contro le donne.

Qui – noto di sfuggita – l’Islam non c’entra o c’entra pochissimo. E abbiamo anche letto che la Cina sta mettendo in soffitta quelle politiche demografiche, mentre si organizzano corsi destinati ai maschi per educarli a essere buoni padri e a non picchiare le mogli.

Di «Lezioni di parità per rifugiati» parla il secondo articolo del Corriere, a proposito di corsi che si tengono in Norvegia per spiegare a chi proviene da paesi e culture diverse come comportarsi con le donne europee. E qui rispunta l’esecrato «politicamente corretto»: infatti negli opuscoli e nei filmati del corso i comportamenti aggressivi maschili sono impersonati da un personaggio bianco e norvegese.

Ecco la seconda considerazione: dopo aver fatto tutti i necessari distinguo sui costumi e le culture diverse, resta che gran parte del problema ha a che fare con una radice del maschile dalla quale noi occidentali non siamo immuni, e non possiamo prescinderne. Anzi credo che sia un esercizio necessario partire da lì anche per aprire uno scambio, e semmai un conflitto, con altri uomini i cui comportamenti non accettiamo e che vogliamo mettere in discussione. Per prevenirli, e se del caso reprimerli.

A questi pensieri mi hanno condotto anche due esperienze leggermente stranianti. Ho visto giorni fa il video di Repubblica in cui l’ex direttore Ezio Mauro apriva la riunione di redazione con un accorato discorso sul conflitto di culture che avviene «sul corpo delle donne». Nella grande stanza con tutto lo staff dei vicedirettori, capiredattori e capiservizio di corpo femminile mi è sembrato che ce ne fosse soltanto uno.

Ho poi letto sul Sole 24 ore l’editoriale di Luca Ricolfi nel quale le donne sono definite una «minoranza speciale», «come gli immigrati, gli omosessuali , gli islamici, i diversi in genere». Eppure si cita in lungo e in largo la femminista francese Elisabeth Badinter.

Insomma, anche la nostra «minoranza speciale» occidentale maschile ha ancora qualche motivo per riflettere su se stessa?