Per una settimana, dopo la vittoria del No al referendum, la Lega Nord ha proposto di recuperare la vecchia legge elettorale, il Mattarellum (del resto il senatore leghista Calderoli, per quanto autore della legge che ha cancellato il Mattarellum, è uno che si è presentato talvolta in senato con un mattarello di legno, a indicare le sue preferenze). Poi Matteo Renzi, nell’assemblea del Pd dell’altro ieri, ha proposto anche lui di tornare al Mattarellum. E naturalmente Salvini ieri ha detto di sì, che va bene, che è quello che sta chiedendo lui. Si può fare anche prestissimo, ha esagerato, «in quindici giorni». Svelti svelti, i lealisti renziani hanno dato segni di esultanza: «Un buon inizio», «interessanti aperture», «un passo significativo»; la prova insomma che il capo ha visto giusto. Invece la disponibilità leghista, già nota da giorni, è rimasta isolata. Più numerose sono arrivate le bocciature. Dagli avversari, ma anche dagli alleati della maggioranza. Da fuori, ma anche dall’interno del Pd.

Si fa più presto a dire chi aderisce al «progetto Mattarellum». Oltre ai leghisti, solo i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Anche perché la loro posizione è questa: «Va bene qualsiasi legge elettorale, purché si vada subito a votare». Tornare al Mattarelum è, in teoria, la soluzione più semplice. Basta abrogare la legge 270/2005 (il Porcellum) e ripristinare i testi in vigore in precedenza, si può fare con una legge di un solo articolo. In teoria, perché si aprirebbe subito il capitolo delle modifiche alla legge, con la quale si è andati alle urne tre volte, dal 1994 al 2001. Due modifiche sono obbligate: l’introduzione della parità di genere nelle candidature all’uninominale e la riduzione dei seggi assegnati con il proporzionale per far spazio ai candidati eletti all’estero. Una terza modifica potrebbe essere consigliata dall’esperienza: la correzione del meccanismo dello scorporo, che risponde a un’esigenza lodevole (attenuare l’effetto maggioritario), ma che ha lasciato spazio all’imbroglio delle liste civetta. Poi ci sono le modifiche «a piacere» sull’impianto base, che assegna il 75% dei seggi (475 alla camera e 232 al senato) nelle sfide uninominali e il 25% dei seggi (155 alla camera e 83 al senato) con il proporzionale. Ognuno ha le sue. C’è la vecchia proposta della neo ministra per i rapporti con il parlamento Finocchiaro, che introduce un premio di maggioranza garantendo il 55% dei seggi al partito che conquista il 40% dei voti C’è il Mattarellum 2.0 del senatore Fornaro, esponente della minoranza bersaniana del Pd, che prevede un premio di governabilità fisso, dividendo la quota proporzionale tra primo partito (90 seggi), secondo (30 seggi) e tutti gli altri (23 seggi). E ci sarebbe senz’altro, in caso di ritorno al Mattarellum, la necessità di ridisegnare i collegi uninominali, visto che sono passati quindici anni e due censimenti generali dall’ultima volta in cui è stato utilizzato.
Per rifare i collegi serve un tempo di lavoro non breve, ma neanche lunghissimo come qualcuno (interessatamente) prevede. Si può fare in un paio di mesi, è il tempo impiegato dalla commissione presieduta dal presidente dell’Istat, tra maggio e luglio 2015, per cambiare la mappa elettorale e rendere operativo l’Italicum. Un lavoro inutile, trasferito inutilmente in una legge il 6 agosto di quell’anno.

Intanto nella giornata di ieri si deve registrate la netta contrarietà al Mattarellum del Movimento 5 Stelle, lo stesso che nel 2013 era il più tenace sostenitore della vecchia legge. Per i grillini qualsiasi tentativo di superare l’Italicum è da intendersi come un sabotaggio ai loro danni. Sono pronti «al Vietnam parlamentare» pur di tenere tutto fermo in attesa della sentenza della Consulta sull’Italicum. Probabilmente non servirà, visto che le camere lavoreranno appena una decina di giorni tra l’Epifania e il 24 gennaio, il giorno del giudizio. Anche Forza Italia ha detto no al Mattarellum. Ma soprattutto si è fatta notare la frenata del ministro Andrea Orlando. «In un sistema tripolare rischia di avere troppe controindicazioni», ha detto il leader della corrente Giovani turchi. Uno dei due. L’altro è il presidente del Pd Matteo Orfini, che ha detto più o meno la stessa cosa, con la differenza di tono che negli ultimi tempi si registra tra loro: «Non ho amato molto il Mattarellum, ma è la proposta votata dall’Assemblea Pd». Almeno in attesa che si aprano i giochi, a febbraio.