Il 29 ottobre o giù di lì la Commissione europea approverà la legge di stabilità di Matteo Renzi, sia pur parzialmente riveduta. L’autore, giustamente, dà già il risultato per scontato e canta vittoria. I corifei si allargano anche di più. Davide Serra, finanziere prossimo a iscriversi al Pd, assicura di aver saputo da fonte certa che Katainen non sta nella pelle per l’entusiasmo suscitato dal capolavoro a firma, Renzi-Padoan. La stampa, come sempre, offrirà il suo appoggio e già ieri un importante quotidiano buttava là nero su bianco che si è trattato di una «vittoria piena». Ce ne è a sufficienza perché il presidente del consiglio si freghi le mani: sul piano dell’immagine incassa alla grande e si sa che per lui quello non è il fronte principale ma l’unico e solo.

Però, fanfare a parte, le cose stanno diversamente. Per il momento Renzi ha solo fatto sul palcoscenico europeo quel che gli riesce meglio e che fa da mesi in Italia: ha preso tempo. Sul fronte dell’austerità e della disastrosa linea politico-economica imposta dall’Europa è cambiato ben poco. Del quattro decimali sottratti dall’Italia ai ragionieri europei del rigore due sono stati recuperati nei giorni di «discussione tosta e accesa», per dirla col medesimo Matteo, e non è detto che sia finita qui: le trattative in realtà proseguono con l’obiettivo di portare la riduzione del deficit allo 0,35%. È opportuno ricordare di cosa si sta parlando: detto taglio sarebbe dovuto essere dello 0,5%, l’Italia lo aveva portato allo 0,1%, poi salito allo 0,3%. Al momento, checché ne dica Giorgio Napolitano, proprio ai decimali l’Europa guarda e non agli altisonanti principi cari al capo dello Stato. L’obiettivo europeo è di rosicchiare qualcosina in più per arrivare allo 0,35%. Forse ce la faranno e forse no, ma in ogni caso sono questi margini di manovra. Un po’ poco per parlare di vittoria politica o di allentamento del rigore.

Per conquistare la suddetta «tregua», il governo italiano dovrà dare fondo a tutto quel che si era messo da parte, certo per coprirsi le spalle ma anche con la segreta speranza di poterlo investire a fini di sviluppo: 3,4 miliardi. Serviranno tutti e potrebbero non bastare. Ma il vero punto dolente è un altro. In cambio della generosa concessione, l’area rigorista capitanata dalla signora Merkel e dal presidente della Bundesbank Weidmann ha già fatto sapere che si aspetta dall’Italia, per l’anno prossimo, una crescita molto vicina al traguardo stabilito dello 0,6% e l’assenza di ulteriori impennate del debito pubblico. Sono entrambi obiettivi poco realistici, per non dire del tutto irrealistici, e tutte le parti in causa ne sono perfettamente consapevoli. Nel corso del vertice di venerdì, inoltre, Draghi ha chiesto a tutti i Paesi di presentare a dicembre un «programma dettagliato e verificabile» delle riforme economiche che si accingono a varare. La regola vale per tutti, ma gli occhi saranno puntati sull’Italia più che su quasi tutti gli altri, essendo nota la tendenza italiana, che non è nata con Renzi, ad annunciare, a volte anche ad approvare, ma quasi mai a implementare riforme strutturali.
Su questa base, con una spada di Damocle sempre pendente sul collo, il governo italiano sarà tenuto nel corso del prossimo anno sotto continua sorveglianza. L’intento è noto: spingere Roma ad accettare un «aiutino» da parte dell’Europa, con relativi e rigidi controlli della stessa. Secondo Repubblica, Katainen avrebbe detto a Padoan che per l’Italia il modo migliore per conquistare la sospirata «flessibilità» sarebbe accettare la procedura di Bruxelles. Vero o falso che sia, è certo che proprio questa ipotesi aveva messo in campo quest’estate Draghi, nell’incontro con Renzi.

Il match che si concluderà la settimana prossima, dunque, non finirà con una vittoria di Renzi, ma con un rinvio che è in realtà utile a tutti i contendenti. Serve ai «rigoristi», che non possono tentare l’affondo subito senza rischiare una deflagrazione irreversibile. Serve a Renzi, che probabilmente non si illude di poter raggiungere i traguardi fissati nel 2015 ma punta sul crescente scontento e sulla latente rivolta di mezza Europa, a partire dalla Francia e gioca d’azzardo.