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Morire a Mattmark di Toni Ricciardi (Donzelli, pp. 194, euro 27) affronta, per archiviarla, la retorica che ha accompagnato l’emigrazione italiana in Svizzera. L’autore, già studioso dell’emigrazione italiana in Svizzera, ricostruisce la catastrofe del 30 agosto 1965 nel Cantone Vallese in cui persero la vita 88 persone (tra di loro 56 lavoratori italiani) impegnati nella costruzione della diga più grande d’Europa. Rigurgiti razzisti, approssimazioni nella sicurezza del lavoro in quella che veniva descritta come la terra della precisione e dei diritti, stampa locale asservita, sentenza finale scandalosa di assoluzione: c’è tutto in questo libro che ha il merito di riportare a galla una tragedia che, se da una parte «suscitò molto scalpore in tutta Europa: per la prima volta stranieri e svizzeri morivano l’uno a fianco all’altro, accomunati tutti, senza alcuna differenza, dallo stesso dolore», dall’altra passò nel dimenticatoio sommersa negli anni dal ricordo di un’altra catastrofe dell’emigrazione avvenuta anni prima e più tragica (262 morti), quella di Marcinelle in Belgio.

Il saggio intreccia alle testimonianze dei sopravvissuti le analisi sugli stereotipi dell’emigrazione e sul cambiamento del modo di fare giornalismo «dopo Mattmark», partendo ovviamente dalla storia del Cantone Vallese, dalle bellezze paesaggistiche narrate da tanti autori (Rousseau, tra gli altri), al passaggio da una realtà contadina a quella industrial-energetico. Un passaggio pagato a caro prezzo e raccontato retoricamente dai teorici delle «magnifiche e progressive sorti» capitalistiche come l’esito di un «progresso che comporta qualche sacrificio». La tragedia invece fu frutto di colpe e complicità varie, dalla ditta appaltatrice alle autorità politiche: si trattò di una grande e sciagurata approssimazione nell’allestimento dei campi di lavoro sotto il ghiacciaio. E fu una tragedia annunciata come documenta nel libro, tra le altre, la testimonianza del friulano Giuseppe Cleber («Erano giorni che io dicevo a tutti: ragazzi, se quel crostone di ghiaccio si stacca, noi qui facciamo la morte del topo. Mi dicevano: esagerato. Ma io di montagne me ne intendo»). Una tragedia annunciata quindi che nel processo fu derubricata a incidente imprevedibile, con la beffa di far pagare ai familiari delle vittime anche il 50% delle spese processuali.

Da rileggere nel libro il fulminante articolo scritto da Dino Buzzati, capolavoro assoluto sul senso dell’emigrazione italiana di quegli anni. L’autore di questo libro termina il saggio con l’elenco dei nomi di tutte le vittime (tantissimi i giovani lavoratori). Per ricordare di nuovo, ovviamente, ma anche per rimarcare che la storia cammina sulle gambe degli uomini. Guai a dimenticarlo.