La risposta italiana all’assalto di Vivendi a Mediaset, dopo la presa di posizione esplicita del governo, arriva dall’Agcom, con la minaccia di vietare l’integrazione tra Telecom, controllata dal gruppo francese con il 24% delle azioni, e Mediaset, dove Bollorè ha conquistato in pochi giorni il 20% delle azioni. Il comunicato diffuso in serata dall’Authority per le telecomunicazioni è fragoroso come una cannonata: «Dopo una preliminare analisi su dati 2015 Telecom risulta il principale operatore nel mercato delle comunicazioni elettroniche con il 44,7% del mercato, mentre Mediaset raggiunge una quota del 13,3% del Sistema integrato delle telecomunicazioni (Sic). Operazioni volte a concentrare il controllo delle due società potrebbero essere vietate». Infatti, specifica l’Authority, per le imprese che detengono nel mercato italiano una quota superiore al 40% «è vietato acquisire ricavi superiori al 10% del Sic».

E’ la prima mossa concreta per fronteggiare la «scalata ostile» del gruppo francese e potrebbe rivelarsi decisiva. Il governo si era infatti pronunciato subito con grande nettezza e determinazione, praticamente ancor prima di incassare il voto di fiducia. Ma i mezzi a disposizione dell’esecutivo, in regime di mercato libero e del tutto senza freni, sono limitati. Almeno quelli diretti, perché è evidente che l’appoggio totale del governo ha tutto il suo peso. Il ministro Orlando lo dice chiaramente: «Il governo non può impedire una dinamica di mercato. Ma può mettere dei paletti, come ha fatto il ministro Calenda».

Telecom Italia, per bocca del suo presidente Giuseppe Recchi, mette le mani avanti assicurando di «non avere niente a che vedere con l’operazione Mediaset». Anche il gruppo di Bollorè prova a rassicurare. L’operazione «non è stata certamente sollecitata, ma non è un atto ostile», affermano laconiche le «fonti vicine a Vivendi». «Vogliamo solo estendere e rafforzare la nostra posizione nell’Europa del Sud», prosegue l’anonimo ventriloquo di Vincent Bollorè. Quasi nello stesso momento, Vivendi formalizzava in Consob il possesso del 20% delle azioni Mediaset dal 14 dicembre, con un salto di oltre il 6% dal giorno precedente.

La rassicurazione del bretone tranquillizza pochissimo i vertici Mediaset e ancora meno il governo. Che la scalata si fermasse una volta raggiunto il 20% al quale Vivendi aveva dichiarato di mirare era previsto, ma nulla garantisce che non riparta al più presto e la paura si allarga a macchia d’olio. Tanto più che lo stesso gruppo francese, al momento di annunciare l’imminente acquisto di quote tra il 10 e il 20% di Mediaset aveva parlato apertamente di «punto di partenza». L’operazione, secondo alcuni, sarebbe in realtà propedeutica a un arrembaggio ancora più minaccioso, quello alle Generali, ma anche se questa si rivelasse una pura fantasia resta la consapevolezza che in questo momento i principali asset italiani sono quasi indifesi, esposti a scalate e assalti il cui esito sarebbe di fatto la colonizzazione economica del Paese.

L’Europa per il momento ha scelto la neutralità facendo sapere che nessuna delle parti in causa ha per il momento notificato l’operazione all’Antitrust comunitario. Ma per una volta Silvio Berlusconi in Italia ha quasi solo amici. Con il 40% dei diritti di voto in Mediaset, Fininvest deve contare sull’appoggio delle banche per mettere in sicurezza il controllo. Mediobanca, nella quale è presente anche Bollorè, è quasi fuori discussione. Restano però Unicredit e Intesa San Paolo, il cui consigliere delegato Carlo Messina ha dichiarato ieri, tanto per non lasciare dubbi di sorta: «Siamo a supporto di Mediaset. Abbiamo una relazione con Mediaset e siamo vicini a Mediaset». E resta la «sua» Mediolanum controllata da Ennio Doris.

Persino la procura di Milano dà il suo apporto cercando di accertare se ci sono state irregolarità nell’operazione francese. L’eccezione, in realtà parziale, è M5S: «Perché il governo è intervenuto immediatamente con dichiarazioni su Mediaset?», attacca Di Battista. Propaganda pura. In realtà nessuno, in questo momento, può permettersi di aprire le porte al possibile saccheggio dell’intero sistema Italia per fare un dispetto a Silvio Berlusconi.