I toni sono soffici. Se alla delicatezza delle forme corrisponderà una sostanza conciliante lo scopriremo nelle prossime settimane, ma nessuno, neppure i più ottimisti, si azzarderebbe a scommetterci. A Berlino Paolo Gentiloni incontra Angela Merkel e con lo stille stemperato che lo distingue difende punto per punto le ragioni dell’Italia. «Per anni – riassumerà poi lui stesso in conferenza stampa – abbiamo parlato di Europa a due velocità. Ora ne vediamo una a due rigidità: troppo flessibile su alcune cose, troppo rigida su altre». E’ la stessa posizione che aveva assunto martedì, da Atene, il presidente della repubblica Mattarella e il premier la aveva già illustrata a quattr’occhi con la potentissima. Non si può essere al tempo stesso severissimi sui decimali di bilancio, e lassisti sulle quote di migranti.
Merkel, sempre in conferenza stampa, gli dà ragione. Ammette che «non tutti i Paesi europei si sono assunti le stesse responsabilità». Riconosce che al momento ancora non esiste «una soluzione sostenibile». I due capi di governo largheggiano in elogi all’incrollabile amicizia tra i loro Paesi. Frau Angela rispolvera l’ipotesi di quel direttorio a tre, con la Francia, che l’estate scorsa aveva fatto sognare Matteo Renzi salvo poi naufragare a Bratislava. Ma nel merito della manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi richiesta dalla Ue, non si lascia sfuggire una sillaba. Ufficialmente perché la vicenda va affrontata in altra sede, a Bruxelles.

Però Angela Merkel non dice niente neppure sul nodo dell’attuale contesa tra il suo Paese e quello di Paolo Gentiloni: la richiesta tedesca di ritirare tre modelli Fca perché, secondo i test tedeschi ma non secondo quelli italiani, violerebbero le regole europee sulle emissioni tossiche. «Ho detto alla Cancelliera che loro decidono per quanto li riguarda e noi con le nostre leggi», spiega diplomatico l’italiano. Quello che ha ricordato alla collega, in realtà, è che il diritto è indiscutibilmente a favore della posizione italiana: è compito dei singoli Stati decidere sulle omologazioni delle auto, e non sono previsti interventi esterni. La cancelliera ha ascoltato educatamente, ma che la questione sia chiusa e definita non lo crede nessuno.
Sul fronte europeo, nonostante la cortesia formale, il confronto è in realtà già molto teso. A Davos il ministro Padoan, che nei prossimi giorni riferirà in materia al Senato, attacca frontalmente Ue e Bce. Anche il commissario Ue all’Economia Moscovici è a Davos, ma non incontra il collega italiano. Annuncia che lo farà oggi, si dice ottimista sull’esito del colloquio, rammenta gli ottimi rapporti, assicura conciliante che le spese per l’emergenza terremoto non verranno contate ai fini del patto di stabilità. Ma aggiunge: «Alcuni Paesi devono ridurre il debito: è un bene per loro. Mi spiace per l’Italia ma ne sono convinto». Porte chiuse.

In assenza di Pier Carlo Padoan, a Roma, è la ministra per i rapporti con il parlamento Anna Finoccharo a illustrare la linea di difesa italiana: il governo mira a coniugare «la riduzione del deficit e del debito con il rilancio di crescita e occupazione». Gli elementi che avevano suggerito alla Commissione di concedere la flessibilità ci sono ancora tutti. La stabilizzazione del rapporto deficit/Pil è «un risultato straordinario» e sarebbe stato migliore senza gli elementi di incertezza a livello internazionale e la deflazione. Ma nel complesso «la dinamica del rapporto tra debito e Pil è coerente con la normativa europea». Critiche respinte al mittente.
Il quale mittente, però, non arretra di un centimetro. La Commissione risponderà infatti che la richiesta di una correzione pari allo 0,2% del Pil, quei 3,4 miliardi di euro, è già una concessione generosa: il minimo della pena. Nella trattativa che è già stata avviata l’Italia non si illude di poter cancellare la richiesta europea. Spera però di ottenere una dilazione sui tempi, al momento fissati per il 31 gennaio, arrivando almeno sino ad aprile. Soprattutto cerca di ottenere una sostanziosa riduzione della cifra richiesta.
Tuttavia non è questa serrata trattativa il vero punto dolente che si sta profilando, ma la consapevolezza che si tratta solo del primo passaggio lungo un sentiero impervio che si snoderà per tutto il prossimo anno e raggiungerà il momento peggiore con il varo della prossima legge di bilancio, che dovrà essere certamente severissima. E l’idea di dover varare una manovra simile forse subito prima delle elezioni è in questo momento il massimo incubo del Nazareno.