Le elezioni di Berlino del mese scorso hanno fotografato la situazione paradossale che vive la Germania: l’ascesa della destra anti-profughi di Alternative für Deutschland (Afd) rende immaginabile ciò che immaginabile non era fino a pochi anni fa, un’alleanza di sinistra al governo. Katja Kipping, 38enne co-segretaria della Linke, è impegnata a concretizzare questa possibilità.

Segretaria, innanzitutto come spiega il successo dell’Afd in tutto il Paese?

Ci sono diversi fattori. Primo, nazionalismo e razzismo sono profondamente radicati in una parte della popolazione tedesca. Secondo, anche se la povertà non è una scusante per i razzisti, va detto che il neoliberalismo ha preparato il terreno al populismo di destra, impoverendo larghi settori della società. E terzo, la Afd è stata rafforzata dal comportamento del governo di Angela Merkel, che ha sempre di più accolto le sue rivendicazioni, inasprendo le politiche di accoglienza: lo ha fatto pensando che in questo modo l’avrebbero indebolita. È accaduto il contrario.

In che modo la Linke cerca di contrastare la destra?

Noi manteniamo una posizione chiara contro il razzismo e cerchiamo di dare forza al campo della solidarietà, a quelli che aiutano i profughi. Ma non solo: ci impegniamo a mettere in evidenza le posizioni dell’Afd nella politica sociale ed economica, tutt’altro che favorevoli alle classi popolari. Più in generale, cerchiamo di non rimanere paralizzati di fronte ai populisti di destra, ma di andare all’offensiva, portando la discussione pubblica sul tema della sicurezza sociale: solo in questo modo li si può mettere davvero in difficoltà.

Nel settembre del prossimo anno in Germania ci saranno le elezioni: per conquistare più consensi a sinistra serve un “populismo” anche da questa parte?

In questo momento nel Paese serpeggia giustamente indignazione: il governo favorisce l’accrescere delle diseguaglianze, mina la coesione sociale. Nelle persone aumenta la paura di un regresso nella scala sociale.

Se “populismo di sinistra” significa mettere in chiaro che i confini che generano e costituiscono le identità non corrono fra persone di diversa origine geografica, ma fra chi sta in basso e chi in alto nella società, allora è un populismo utile e opportuno. E non ha nulla a che vedere con il populismo di destra: l’Altro da cui ci si distingue non sono gli stranieri, ma il 10% più ricco della società.

E serve forse che la Spd non candidi a cancelliere il suo segretario Sigmar Gabriel, ministro dell’industria e vice di Merkel nella grosse koalition?

Penso che l’attrattività di un’opzione politica non dipenda dai singoli esponenti. Per costruire consenso nei confronti di maggioranze diverse dall’attuale serve concentrarsi sui contenuti, e fare intendere chiaramente quale direzione si vuol prendere su questioni di fondo. Ad esempio, vogliamo continuare ad avere un servizio sanitario differenziato a seconda della capacità di spesa delle persone? Manteniamo il sistema di sostegno al reddito secondo le regole Hartz IV, e cioè pieno di vessazioni per i disoccupati? Andiamo avanti con la militarizzazione della politica estera? A partire da queste domande si deve sviluppare il dibattito intorno a una possibile nuova maggioranza di sinistra.

Quindi per la Linke non è importante chi sarà il candidato cancelliere della Spd…

È una questione che non ci interessa. Ogni partito fa campagna per sé, e per noi importano i contenuti, soprattutto quelli che ci permetteranno di riportare a votare gli astensionisti.

L’Europa è ovviamente un capitolo decisivo. Il mese scorso il gruppo parlamentare della Linke ha organizzato un convegno internazionale dove sono emerse nuovamente le due linee: i fautori della cosiddetta “Lexit” e quelli che possiamo chiamare “difensori critici” dell’Ue. È possibile costruire una prospettiva comune o la sinistra, in Germania e nel resto del continente, è destinata a restare divisa?

Noi vogliamo un nuovo inizio dell’Ue. L’alternativa fra la difesa dell’Ue come è attualmente e il ritorno alla dimensione nazionale è, per la sinistra, mortale: è come scegliere fra peste o colera. Il dibattito non può essere intorno a qual è il male minore.

Ci sono però questioni ineludibili: bisogna superare l’euro, come è tornato a suggerire recentemente anche Joseph Stiglitz?

Il problema non è la moneta, ma l’indirizzo politico. Noi dobbiamo combattere il neoliberalismo, non una moneta in sé. Concentrarsi sulla moneta de-politicizza la discussione, perché rimane appannaggio degli esperti.

Noi dobbiamo invece politicizzare il confronto sull’Europa, e quindi lottare contro l’austerità, non contro l’euro. La vicenda della Grecia ci insegna che fintantoché saranno Merkel e Schäuble a menare le danze, un cambio di rotta in Europa è difficile: quindi la svolta deve cominciare con un cambio di governo in Germania.

Deve cambiare, a suo giudizio, anche l’orientamento del sindacato tedesco? Spesso è stato un alleato dell’attuale governo…

È evidente che non è possibile fomentare l’export verso altri Paesi e poi lamentarsi se questi Paesi si indebitano. Io spero che sempre di più si rafforzi la Ces, la Confederazione sindacale europea, e che in tutti gli stati della Ue ci siano adeguati standard di protezione sociale. Devo dire, per quanto riguarda il sindacato tedesco, che mi ha deluso molto la copertura politica che i vertici della confederazione unitaria Dgb hanno dato al vicecancelliere Gabriel per la firma del Ceta, il trattato commerciale Ue-Canada.

Lei guida da oltre 4 anni la Linke insieme a Bernd Riexinger: siete riusciti nell’impresa di avere unito e rafforzato un partito che era sull’orlo della scissione fra moderati e radicali. La Sinistra ora è non è più relegata ai margini della politica tedesca. Qual è il segreto del vostro successo?

La Linke è un’organizzazione plurale in cui non si negano le differenze, ma si cerca di valorizzare i punti in comune: questo vale sia al nostro interno, sia nei confronti dei movimenti sociali, dei quali noi ci sentiamo organicamente parte. Noi cerchiamo di portare avanti una politica «realista e rivoluzionaria», come diceva Rosa Luxemburg: lottiamo per ogni piccolo concreto cambiamento che inquadriamo, però, in una prospettiva più vasta che ci permetta di dire che il capitalismo non è la fine della storia. Ci conforta vedere che stiamo crescendo molto fra i giovani: lo dobbiamo al fatto che puntiamo sul legame fra diritti civili e diritti sociali, fra libertà individuali ed eguaglianza, e alla nostra posizione ferma contro il razzismo.