Prima un’emergenza idrica che dura ormai da venti giorni e che sta assetando mezza città. Poi due dirigenti di Messinambiente, la municipalizzata che si occupa di rifiuti, finiti ai domiciliari e indagati per aver intascato mazzette. Oggi, dodici consiglieri a cui è stato comminato una specie di Daspo: hanno l’obbligo di firmare presso un ufficiale di polizia giudiziaria all’inizio ed alla fine delle sedute di commissione consiliare. Perché la procura di Messina, per gettoni di presenza raggranellati senza presenziare alle sedute, o firmando e uscendo dopo qualche minuto, di consiglieri ne sta indagando 23, più della metà dell’intero consiglio comunale. È un novembre da piaga biblica quello che come un uragano sta scuotendo alle fondamenta Messina, le sue partecipate, i suoi rappresentanti, i suoi enti. Anche il suo sindaco, Renato Accorinti, messo in croce a causa dell’emergenza idrica che dura dal 24 ottobre, e al quale è stata promessa una mozione di sfiducia: proposta da parecchi dei 23 indagati, e anche da qualcuno dei dodici ai quali la procura ha comminato la misura cautelare.

Messina si sveglia, mercoledì 11 novembre, attendendo notizie sulle operazioni di posa dei tre tubi che, scavalcando la frana di Calatabiano che ha provocato la rottura dell’acquedotto di Fiumefreddo mettendo in ginocchio una città intera, dovrebbero far tornare l’acqua in città. E invece, la notizia che accoglie i messinesi è che all’ex amministratore (poi commissario liquidatore) di Messinambiente Armando Di Maria, insieme al funzionario contabile Nino Inferrera, sono stati comminati gli arresti domiciliari. Secondo la Procura, i due avrebbero intascato tangenti da un broker assicurativo e due imprenditori, violando sistematicamente le norme previste dal codice degli appalti. Il chiodo finale nella bara della partecipata, che meno di un mese fa aveva ricevuto una cartella esattoriale, con tanto di pignoramento e blocco di conti presso terzi, per la mostruosa cifra di ventinove milioni di euro, tra tasse non pagate, contributi non versati e more accumulate negli anni. Cifre e circostanze che rispondono a volume altissimo alla domanda che si pone ogni messinese: perché pagare una Tari stratosferica per un servizio che è al di sotto delle soglie della decenza? E quando si pensava che il destino non avrebbe potuto riservare altre bastonate, ecco il colpo di scena. Appena un giorno dopo, giovedì 12 novembre, il procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro ed il sostituto Diego Capece Minutolo presentano i risultati di tre mesi d’indagine da parte della Digos, stavolta fin dentro le inviolabili stanze del consiglio comunale.

Quello che ne esce fuori è devastante: dodici consiglieri (Carlo Abbate, Piero Adamo, Pio Amadeo, Angelo Burrascano, Giovanna Crifò, Nicola Crisafi, Nicola Cucinotta, Carmela David, Paolo David, Fabrizio Sottile, Benedetto Vaccarino e Santi Zuccarello) sono «ritenuti a vario titolo responsabili dei reati continuati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici». Perché? Per i gettoni di presenza «percepiti in maniera fraudolenta», scrivono dalla procura, in occasione delle sedute delle commissioni consiliari permanenti. Come?
Tutto nasce da una cifra: 2184 euro, l’equivalente di trentanove gettoni di presenza: il massimo raggiungibile dai consiglieri comunali, la cui indennità è calcolata in un terzo di quella del sindaco. E per raggiungere il tetto delle 39 presenze, spiegano gli inquirenti, giù di sedute su sedute. Molte delle quali, per i dodici sottoposti alla misura cautelare, e per gli altri undici ancora sotto indagine, spesso piene di firme ma deserte di presenze. «In alcuni casi, i consiglieri intervenivano nel corso della seduta per il tempo strettamente necessario a firmare, e quindi per ottenere ugualmente il gettone di presenza», scrivono gli inquirenti.
A spanne, dalla Procura hanno stimato il tempo necessario all’effettiva partecipazione ad una seduta in tre minuti. Al di sotto, scattava la contestazione di reato. «Il recordman è un consigliere che è entrato in aula, ci è rimasto venti secondi e poi è andato via», ha spiegato il questore Giuseppe Cucchiara. Quanto basta per far scrivere agli inquirenti «Uno strumento subdolo – si legge nell’ordinanza – con il quale il consigliere di turno, strumentalizzando la funzione ricoperta, prende la presenza all’evidente ed unico fine di percepire l’indennità».

Una specie di privilegio medievale, quello del ruolo da consigliere comunale, del quale nessuno può chiedere conto e ragione su come sia svolto. «Io voglio questa cazzo d’indennità! A me di fare le commissioni non me ne fotte niente, io voglio l’indennità», spiegava tra il serio e il faceto un consigliere nelle intercettazioni, riassumendo il pensiero di mezzo consiglio comunale. E Renato Accorinti? Messo in croce a causa dell’emergenza idrica, parzialmente riabilitato dagli sviluppi dell’inchiesta su Messinambiente (nata dagli esposti della giunta e dell’assessore all’Ambiente, Daniele Ialacqua, ma anche dalle denunce di Santi Zuccarello, uno dei consiglieri indagati), oggi il sindaco si trova in una posizione di forza che in due anni e mezzo di amministrazione non ha mai avuto. Perché parte dei consiglieri che ne chiedono la testa, ed hanno pronta la mozione di sfiducia, da domani saranno impegnati a spiegare alla città, e agli inquirenti, come e perché hanno lucrato per mesi sui gettoni di presenza.