In un passaggio di The Cell, il film che l’artista Angela Melitopoulos ha dedicato ad Antonio Negri nel 2008, il filosofo italiano rievoca i suoi studi su Leopardi durante gli anni dell’esilio parigino, soffermandosi sul nesso tra immaginazione poetica e costruzione del comune. È qui la grande lezione del pessimismo di Leopardi, afferma Negri: la possibilità di costruire mondi diversi attraverso il comune.
L’arte come ciò che permette di inventare e di sperimentare nuove configurazioni dell’essere insieme e della vita: potrebbe essere questa la traccia attraverso la quale leggere le dieci lettere che compongono il libro Arte e multitudo, recentemente ripubblicato in una versione ampliata a cura di Nicolas Martino (Toni Negri, Arte e multitudo, a cura di Nicolas Martino, Roma, Derive Approdi, pp. 176, euro 12). Non è forse un caso, infatti, che nella nuova prefazione al libro Negri torni a proprio a Leopardi, suggerendo un parallelo tra la condizione descritta dal poeta di Recanati, alle prese con una modernità che «annulla le passioni, ossia le sole forze che rendono la vita degna di essere vissuta», e le condizioni storiche e materiali all’interno delle quali si inserisce la riflessione sviluppata nelle pagine di questo libro.

Arte e Multitudo è composto da una serie di lettere indirizzate ad alcuni amici e pubblicate in volume per la prima volta nel 1990 per i tipi dell’editore Giancarlo Politi. Questi scritti si collocano dunque nel pieno dell’esilio parigino di Negri, negli anni della disillusione seguita alla sconfitta dei movimenti del decennio precedente, in una fase che l’autore ricorda come fortemente segnata dalla reificazione di ogni aspetto della vita e dell’attività umana. Questo libro ha conosciuto una serie di ristampe, tutte in traduzione: alla versione spagnola uscita nel 2000, sono seguite due traduzioni francesi (rispettivamente nel 2005 e nel 2009) che contenevano ognuna una nuova lettera, mentre questa nuova edizione italiana comprende un’ultima lettera «sul comune», una nuova presentazione dell’autore, tre testi inediti (uno dello stesso Negri, gli altri due a firma di Nicolas Martino e di Marco Assennato) e due interviste che sviluppano i temi affrontati nelle lettere.

Il volume permette in questo modo di ricostruire il contesto politico e intellettuale in cui Negri ha sviluppato le sue riflessioni sull’arte, in particolare rispetto al dibattito che ha caratterizzato il postmodernismo italiano, di cui il saggio di Nicolas Martino ricostruisce i momenti salienti.
Tuttavia, al di là della necessaria messa in prospettiva storica, questa nuova edizione permette soprattutto di evidenziare gli aspetti più attuali e produttivi della riflessione di Negri sull’arte, che rimandano in particolare alle questioni del comune e delle trasformazioni che stanno ridefinendo il rapporto tra lavoro e creatività. Sono infatti questi i temi che appaiono come i più stringenti sia dal punto di vista della loro centralità nell’immaginare nuove forme di lotta, sia per la straordinaria risonanza che trovano nelle pratiche artistiche che negli ultimi anni si sono poste come dei veri e propri laboratori di pensiero critico.

Per Negri, infatti, l’arte può tradursi in dispositivo costituente proprio in quanto assume su di sé le condizioni di produzione e di sfruttamento, sperimentando forme di resistenza e di trasformazione. «L’arte – scrive – non ha mai costituito uno spazio di costruzione estetica autonomo rispetto alla storicità dell’essere insieme e alla materialità delle tecnologie della produzione e della vita. È sempre stata dentro questi mondi, vi ha lavorato, costruendoli – e spesso anticipandoli». Da questo punto di vista è possibile osservare i procedimenti e le pratiche artistiche come altrettante risposte, reinvenzioni o dislocamenti delle forme assunte dalla produzione e dall’organizzazione capitalistica in determinate epoche e contesti.

Al di fuori di ogni visione di tipo teleologico-storicistica, Negri si concentra sul coinvolgimento dell’arte all’interno delle condizioni del proprio tempo, sottolineando come questo coinvolgimento si sia potuto tradurre in una serie di pratiche trasformative che chiamano in causa le soggettività e i corpi all’interno di un orizzonte collettivo. Nella lettera «sul corpo», indirizzata a Raùl Sanchez, viene affrontato in particolare il nesso che unisce corpo, arte e produzione, ovvero quel corpo-macchina sul quale convergono tanto l’arte quanto le forme del lavoro contemporaneo. Qui l’immagine evocativa di «un corpo che conosce danzando» traduce la possibilità di pensare l’arte come sperimentazione di forme di vita incarnate in un’epoca segnata dall’astrazione del lavoro cognitivo.

Alla lettura del libro colpisce tra le altre cose la discrepanza tra i riferimenti di Negri in campo artistico, perlopiù legati agli anni della sua formazione, e l’attualità della sua elaborazione teorica per l’arte degli ultimi anni. I temi sviluppati nel libro hanno avuto infatti un impatto decisivo nell’articolare la sperimentazione artistica con l’invenzione di forme di vita – di «mondi diversi», diremmo con Negri – all’interno di quella nebulosa che chiamiamo «arte contemporanea».

Al di là degli artisti che si sono interessati in modo più o meno diretto alla sua traiettoria e al suo pensiero – oltre al bellissimo film di Angela Melitopoulos, si potrebbero menzionare i recenti lavori di Rossella Biscotti o di Oliver Ressler – molti dei temi sviluppati in Arte e multitudo risultano cruciali per pensare il divenire dell’arte nel suo essere al contempo «merce e attività» che «sta dentro ad un modo di produzione specifico e lo riproduce, o meglio, lo produce e lo contesta, lo subisce e lo distrugge», come scrive lo stesso Negri nella postfazione al libro. La cui attualità risiede, in primo luogo, proprio nella sua capacità di formulare un pensiero critico nel presente, che permetta di immaginare insieme trasformazione sociale e sperimentazione artistica, creatività e comune, arte e moltitudine.