Maria José Lecha, classe ’57, si è trovata catapultata come protagonista della battaglia politica municipale barcellonese in maniera abbastanza inaspettata. Attivista da quando aveva 14 anni (in pieno franchismo si iscrive al Partido Obrero Revolucionario), oggi è amministrativa all’ospedale Sant Pau di Barcellona e milita nelle file del sindacato di base e indipendente Ftc-Iac.

Non milita invece nelle fila della Cup, la Candidatura d’unità popolare di cui è capolista. La Cup (che a queste elezioni si presenta come Cup -Capgirem Barcelona – «mettiamo sottosopra Barcellona») è un movimento politico assembleario di estrema sinistra e fortemente indipendentista. Fu la grande sorpresa delle ultime elezioni catalane nel 2012, quando ottenne ben tre seggi nel Parlament di Barcellona.

Fino a quel momento erano stati presenti a livello municipale, ma era la prima volta che decidevano di fare un passo istituzionale. A Barcellona non avevano ottenuto neppure un consigliere comunale. Stavolta i sondaggi gliene attribuiscono almeno tre nel futuro consiglio comunale della capitale catalana, dove difficilmente i due principali sfidanti si avvicineranno alla maggioranza assoluta. Si tratta dell’attuale sindaco democristiano e dell’altra ex attivista, Ada Colau, che ha riunito nella piattaforma Barcelona en comú vari movimenti cittadini e partiti come Podemos, i rosso verdi catalani di Icv e Izquierda Unida. Secondo gli ultimi sondaggi, sono alla pari con circa 10-11 seggi (la maggioranza in consiglio è di 21).

Come definirebbe la Cup?

È un movimento della strada, delle classi popolari. Siamo municipalisti perché è lì che si è più vicini alla vita quotidiana della gente. E indipendentisti, ovviamente. Il nostro strumento è la radicalità democratica. L’aggettivo serve perché molti usano la parola «democrazia» senza che lo sia davvero, quando è un istituto schiavo del capitalismo e dei grandi poderi. Un capitalismo che è marcato dal patriarcato e dall’aggressione verso l’ambiente.

Cosa porterà la Cup in consiglio comunale?

Il nostro programma è indipendentista, femminista e socialista. Il comune dovrà essere agli ordini del popolo, ascoltare le necessità delle persone, è questa la «radicalità democratica».

Il carattere indipendentista gioca davvero un ruolo così importante in un’elezione comunale?

Non possiamo rinunciare a questa nostra aspirazione. La storia ci insegna che tutti i principali passi avanti nel campo della sovranità sono venuti dal basso. Anche la Repubblica spagnola nacque da elezioni municipali. Queste elezioni sono importanti per lavorare al processo costituente (il cammino politico verso un’eventuale indipendenza, ndr) e per agglutinare più forze possibili.

Per un certo periodo la Cup è stata vicina ai movimenti da cui poi è sorta Barcelona en comú. Perché avete deciso di correre da soli? C’entra l’indipendentismo?

Sì. Loro non hanno preso posizione sul tema (solo in favore del diritto del popolo catalano a decidere, ma rispetto all’indipendenza vera e propria ci sono posizioni diverse, ndr). E poi sono alleati con Icv, un partito che ha governato la città moltissimi anni con i socialisti. Per noi sono corresponsabili del modello di città e di molti scandali urbanistici, di corruzione e di episodi di violenza della polizia urbana senza aver mai fatto autocritica.

Quali saranno gli assi del vostro intervento?

Lo slogan che abbiamo scelto è «pa, sostre i llibertat», cioè pane, tetto e libertà. Il comune ha un superavit di cui il sindaco si vanta in ogni occasione. Eppure l’anno scorso sono stati lasciati fuori 2.000 bambini dalle mense scolastiche. Ci sono 300.000 persone a Barcellona sotto il limite della povertà, 15 sfratti al giorno, 100.000 disoccupati, 80.000 case vuote. Bisogna fare un piano di emergenza sociale perché non se ne debbano più fare in futuro.

E in che consiste?

Vogliamo che nelle scuole tutti possano fare colazione e pranzare. Vogliamo mense comunitarie (non sociali, per non stigmatizzare nessuno) in tutti i quartieri, perché questo oltre alle emergenze sociali aiuterebbe a sgravare dal carico familiare molte donne. Vogliamo misure di coesione sociale. Siamo a favore di un reddito minimo universale; non è vero che il comune non lo può fare. E poi neanche un nuovo sfratto. Vogliamo fare un censo esatto delle case vuote. Le case delle banche riscattate con il denaro pubblico si possono già occupare. Per le altre si può obbligare a cederne l’uso a chi ne ha bisogno. Fra queste, anche le donne vittime di violenza.

Che farete se doveste sostenere Ada Colau come sindaco?

Non saremo la stampella di nessuno. Non lo scartiamo a priori, e magari trovassimo persone che accolgono le nostre proposte. Ma una decisione così importante la prenderemo con le 12 assemblee cittadine.