Nel 2012 fa quando Home Again – l’album di debutto – svettava nelle classifiche britanniche facendo incetta di premi – fra cui il BBC Sound, l’annuale concorso della radio nazionale, l’autore veniva definito «the next big thing», la grande promessa della scena inglese. Quattro anni dopo, Michael Kiwanuka, classe 1992, cresciuto nel nord di Londra e figlio di genitori ugandesi scappati dal regime di Idi Amin Dada, ha fatto ancora di meglio. Se il primo disco infatti, ricco di idee e ottimi brani sembrava a tratti strizzare l’occhio al passato, nella concezione e nelle ispirazioni (Marvin Gaye, Bill Withers), Love & Hate va decisamente un passo oltre.

Michael è migliorato, la voce si è fatta più pastosa e calda e i brani hanno acquistato una brillantezza di esecuzioni e ispirazioni ammirabile. Merito anche di Danger Mouse (capace perfino di resuscitare i Red Chili Pepper) che si inventa arrangiamenti orchestrali originali e mai ridondanti, e soprattutto spinge Kiwanuka a gettare il cuore oltre l’ostacolo, superando le inibizioni. Così Cold little heart – maestosa apertura rifiuta ogni logica commerciale, una lunga suite dove la voce si affaccia – emozionando – dopo cinque minuti, lasciandosi precedere da archi, chitarre, tastiere. Un disco dalla lunga gestazione, i testi parlano di «identità» e di «razza» (in Cold little heart canta «Non mi sopportavo, in tutta la mia vita mi sono sempre vergognato»).

E non è un caso se diversi brani sono finiti dritti dritti nella colonna sonora di The Get Down, la serie creta da Buz Luhrmann che racconta la nascita del rap nei ghetti di New York. Un’opera che aggredisce – Black man in a white world, ma sa anche cullare l’ascoltatore sulle note suadenti della ballata Falling.

È senza timore di smentita, uno dei migliori album pubblicati nel 2016.