«Qui sfiorisce la vecchia morale e con essa la vecchia concezione della donna. A differenza degli altri paesi, la donna acquista qui il diritto di una inconsueta libertà. Comincia qui – e non altrove, solo più tardi anche altrove – a parlare, a trattare, a usare di sé stessa liberamente. Questa donna può già distinguere nei suoi rapporti sociali fra il vero e il falso dei suoi sentimenti e delle attrazioni dei suoi sensi». Si tratta della Francia del Sei e del Settecento, dalla Fronda alla Rivoluzione. Ed è il genere ‘nuovo’ del romanzo che, nel privilegiare e svolgere questa indagine sul “mutamento della definizione dell’amore” ricerca, ricava e forma una sua riconoscibile identità letteraria. In una vasta raccolta antologica Michele Rago intende dar conto di questi appassionanti svolgimenti e cura i due corposi volumi (assommano a millecinquecento pagine) di “Romanzi francesi dei secoli XVII e XVIII” apparsi nel 1951 nella collana Pantheon che Valentino Bompiani ha affidato a Elio Vittorini. Oltre che a Rago le traduzioni si debbono, tra gli altri, a Giorgio Bassani e Mario Praz, a Mario Luzi, Alessandro Bonsanti e Lamberto Vitali. I due tomi sono arricchiti da illustrazioni, scelte con particolare attenzione. (“In una libreria antiquaria ho trovato un libro di illustrazioni dei fratelli Le Nain. Mi servirebbe per i romanzi francesi del ’600 e ’700. Costa 110 lire e vorrei prenderlo”, scrive Vittorini a Bompiani da Milano, già il 6 febbraio del 1942). Avverte Rago: “questa raccolta vuole offrire al lettore italiano, anche se in forma sommaria, un’indicazione panoramica del romanzo francese nei primi due secoli di svolgimento, dal 1610 al 1800, da d’Urfé a Laclos e a Sade.” E aggiunge: “un lavoro che vuole suscitare degli interessi di conoscenza e di cultura. Ma suscitarli soltanto, senza la pretesa di esaurirli”. E chi, volta a volta, legga le “note illustrative che precedono i testi e li commentano”, non potrà sottrarsi al coinvolgimento che la finezza critica e l’acume di Rago suscitano: per la ricchezza dei rilievi puntuali che aprono alla riflessione e a illuminanti confronti e raccordi, per come sanno connettere queste pagine alle opere esemplari della matura stagione ottocentesca del romanzo europeo. Cito un passo dedicato a M.me de La Fayette, autrice, nel 1672, de “La Princesse de Clèves” (“un punto di arrivo e un punto di partenza, il momento più importante nello svolgimento della narrativa francese di quel secolo”): “i personaggi restano vivi, costruiti con una finezza intelligente e una coerenza che penetrano fino all’intimità silenziosa, fino al dramma taciuto che solo la sensibilità sa intuire e palesare. È stata la prima a spingersi fino alla zona di silenzio che ogni persona umana custodisce gelosamente dentro di sé. Il romanzo psicologico moderno si è modellato su questi primi personaggi ancora del tutto sconosciuti ai contemporanei della scrittrice. Una donna parlava, una donna che per l’esperienza del dissidio fra passioni e doveri c’era passata anche lei”. Rago possiede la rara capacità di mostrare la specificità d’una forma letteraria illustrata nel suo farsi, nella varietà dei suoi moduli e, insieme, le risultanze che essa ottiene aderendo, sempre più minutamente, alla fitta e sottile trama che costituisce “il messaggio della natura amorosa contro le cristallizzazioni sociali, la libertà di amare”. Michele Rago: tra quanti, ha scritto Rossana Rossanda, “nulla ebbero se non un’idea o una speranza che impedì a lungo a l’Italia di diventare la mucillagine di adesso. Lo ricordo nelle riunioni sempre seduto un po’ indietro, le braccia conserte e la parola breve, dubitosa o incomoda, lontano dalla ricerca di effetti. Così è anche ritratto, se ricordo bene, in un dipinto di Renato Guttuso “La discussione”, penso attorno al 1956”.