Ci sarebbero diverse testimonianze a provare il naufragio di un barcone carico di centinaia di migranti di cui si è saputo alcuni giorni fa. A raccogliere i racconti è stato un team dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, che si è recato nell’isola greca di Kalamata dove sono stati portati i 41 sopravvissuti (37 uomini, 3 donne e un bambino). Stando ai loro racconti il naufragio sarebbe avvenuto il 16 aprile e avrebbe coinvolto due imbarcazioni, almeno una delle quali partita e dalla Libia e non dall’Egitto come si era pensato all’inizio.

Un gruppo di 100-200 persone tra somali, etiopi, egiziani e sudanesi, sono state fatte salire a bordo di un’imbarcazione lunga circa 30 metri e partita da una località vicina a Tobruk. Dopo diverse ore di navigazione, i trafficanti avrebbe cercato di trasferire i migranti a bordo di un’altra imbarcazione più grande e sulla quale si trovavano già centinaia di perone. Durante le operazioni di trasferimento l’imbarcazione più grande si è rovesciata per il peso ed è affondata. Per molti dei migranti che si trovavano a bordo non c’è stato niente da fare, mentre chi è caduto in acqua ha cercato di raggiungere la barca più piccola. «Queste persone – spiega l’Unhcr – sono rimaste in mare alla deriva per almeno tre giorni prima di essere individuati e tratti in salvo il 18 aprile».
Lo staff dell’Alto commissariato per i rifugiati ha potuto ascoltare i sopravvissuti all’interno dello stadio di di Kalamata, dove sono stati accolti temporaneamente. Fortunatamente non rischiano di essere trasferiti in Turchia, come prevede l’accordo tra Ue e il governo di Ankara, perché sono partiti dalla Libia. L’Unhcr sta ha fornito loro le informazioni necessarie per richiedere asilo politico e ha chiesto agli Stati coinvolti nella tragedia un’inchiesta approfondita insieme a maggiori sforzi di cooperazione internazionale per salvare vite umane e combattere i trafficanti.

La Commissione europea ha intanto reso noti i primi risultati dell’accordo siglato con la Turchia. Dallo scorso 4 aprile, giorno in cui l’accordo ha preso il via, sono stati riconsegnati alle autorità turche 325 migranti entrati in Grecia in maniera irregolare, mentre 103 profughi siriani sono stati redistribuiti dai campi turchi nei paesi europei, secondo il principio «uno per uno». Inoltre 24 ufficiali di collegamento turchi sono stai schierati negli hotspot greci, mentre 5 ufficiali greci sono in servizio nei punti di arrivo in Turchia. «Il primo risultato della nostra cooperazione con Ankara è che sta arrivando il messaggi che rivolgersi ai trafficanti d esseri umani è la scelta sbagliata», è stato il commento del vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans. Bontà sua la Commissione ha chiesto alla Turchia anche maggiori sforzi per migliorare l’accoglienza dei profughi garantendo loro una protezione adeguata. Compresi quella non siriani, come ha ricordato ieri il commissario Ue per l’Immigrazione Dimitri Avramopoulos.

Con la Turchia resta invece sempre aperta la partita sulla liberalizzazione dei visti. Ankara preme perché i suoi cittadini possano circolare liberamente in Europa a partire da giugno e minaccia di sospendere l’accordo sui migranti in caso contrario. Da parte sua Bruxelles vorrebbe maggiori garanzie sulle condizioni che Ankara deve rispettare. Entro il 4 maggio, ha annunciato ieri l’esecutivo comunitario, verrà presentato il rapporto sui progressi per la liberalizzazione dei visti. Se la Turchia avrà preso le misure necessarie per soddisfare le condizioni che ancora restano da rispettare, «il rapporto potrà essere accompagnato da una proposta legislativa per inserire la Turchia nella lista dei paesi senza obbligo di visti». Una questione che rischia di accentuare ancora di più la distanza tra Bruxelles e Ankara. I conti tra le due captali, infatti, no tornano. Ankara sostiene di aver adempiuto a 55 dei 72 criteri fissati dall’Ue, mentre per Bruxelles sarebbero molti di meno.