Ferguson, Baltimore, St Louis. Nella sequenza della guerriglia urbana per cause razziali, il nuovo epicentro è Milwaukee, in Wisconsin.

Un ragazzo afro-americano, Sylville Smith, 23 anni, è stato ucciso da un agente, anche lui afro-americano, durante un inseguimento. Il ragazzo era armato, ma in America conta poco: aveva un regolare porto d’armi, come da secondo emendamento.

Centinaia di persone sono scese in piazza, auto della polizia sono state date alle fiamme, vetrine sono state spaccate. La guerriglia è andata avanti per ore: incendiati quattro esercizi commerciali, tra cui una pompa di benzina e una banca; 17 persone arrestati e 4 poliziotti feriti, colpiti da pezzi di cemento e vetro lanciati dai manifestanti.

Il governatore del Wisconsin Scott Walker ha autorizzato l’invio a Milwaukee della Guardia Nazionale. E ha dichiarato lo stato di emergenza, mentre il sindaco Tom Barrett, nel corso di una conferenza stampa, ha fatto appello rivolgendosi direttamente alle famiglie dei manifestanti: «Se volete bene ai vostri figli, alle vostre figlie, ai vostri nipoti, dite loro di tenersi a distanza dalla zona, la situazione è molto instabile». Barrett ha precisato che la Guardia nazionale è stata convocata e mobilitata, ma al momento sarebbe in attesa, «pronta a intervenire soltanto se la polizia lo riterrà necessario».

Durante il giorno successivo alla morte di Sylville Smith si sono svolte manifestazioni pacifiche e veglie. Non appena è sceso il buio, come era prevedibile, lo scenario è cambiato. I manifestanti hanno affrontato, con lanci di sassi e bottiglie, decine di poliziotti in tenuta antisommossa. Una persona è rimasta ferita in seguito a un colpo di arma da fuoco sparato dall’interno di una casa ed è stata portata in ospedale dalla polizia con un mezzo blindato. Anche un agente è stato ricoverato in ospedale, a causa del lancio di un grosso sasso che ha frantumato il parabrezza dell’auto di pattuglia. E ci sono stati colpi di arma da fuoco in tre diverse zone della città.

A seguito di questi nuovi incidenti il sindaco di Milwaukee ha decretato il coprifuoco a partire dalle ore 22. Barrett ha rinnovato l’invito alle autorità dello Stato del Wisconsin a divulgare «al più presto possibile» il video dell’inseguimento in cui Smith è stato ucciso. Una scelta precisa, nella speranza di convincere la comunità afroamericana che l’uso della forza da parte degli agenti non era ingiustificato.

Da parte sua il capo della polizia, Edward Flynn, ha già affermato che le immagini riprese dalla bodycamera del poliziotto mostrano il giovane girarsi verso i suoi inseguitori impugnando la pistola. Ma questo elemento, probabilmente, non cambierà lo scenario tutt’altro che concluso.

A Milwaukee il «caso» è ben più complicato dei precedenti. Apparentemente le proteste sembrano identiche alle altre. Invece, qui a sparare non è stato un poliziotto bianco. Non solo: la vittima non era disarmata, ma poteva costituire un pericolo che giustificava l’uso della forza. E infine per un forte sentimento anti-bianchi che nelle altre città Usa non si era mai sentito.
Sylville Smith è l’ultimo di una lunga serie di afro-americani uccisi dalla polizia di Milwaukee, una delle città Usa in cui la segregazione razziale rimane di forte intensità. In particolare, con una grande concentrazione di neri disoccupati che vivono in quartieri separati da quelli dei bianchi. Le dichiarazioni rilasciate dalla popolazione afro-americana della cittadina del Wisconsin, apparse nelle news di questi giorni erano chiare. «Loro hanno tutto, tutte le possibilità e tutti i soldi – ha spiegato in modo eloquente un ragazzo, indicando i bianchi – E a noi non danno niente».

In questa frase è racchiuso molto di ciò che è esploso a Milwaukee.

Una fetta della popolazione si vede discriminata, rinchiusa in un ghetto dove ha accesso a scuole terribili che non porteranno mai alla mobilità sociale necessaria per uscire da una condizione sociale penalizzante.

È un circolo vizioso, un loop che genera criminalità che la polizia locale fronteggia sparando.

In questo focolaio Tim Pool, livestreamer e giornalista d’assalto che dal 2011 “copre” tutte le guerriglie urbane anche fuori gli USA, martedì ha annunciato dal suo canale YouTube, la partenza da Milwaukee.

«Sono coreano – ha spiegato nel suo video – ma vengo percepito come bianco. Qui bianchi e giornalisti non sono graditi, al momento, e lo capisco. Capisco ogni dinamica, ma sarei irresponsibile a rimanere. Ho visto colleghi strattonati e minacciati, ho visto sparare da una casa e colpire un ragazzo bianco. È una piazza diversa da qualsiasi altra abbia visto, da Ferguson all’Egitto al Brasile. Questo per moltissime ragioni che comprendo non è un luogo dove è possibile esercitare il mio lavoro, al momento. Non c’è alcun giudizio da parte mia: davvero, comprendo cosa abbia generato i questa carica d’odio. Tuttavia mi ritrovo, ora, ad essere il bersaglio di questo odio».