Si chiamano «assuntori di custodia», espressione tra l’aulico e il burocratese, per definire quei volontari che permettono la visita a siti archeologici altrimenti destinati a restare chiusi. Su mandato del ministero e generalmente per eredità familiare, Giovanni, Imma, Filippo, Salvatore e Carlo – questi i loro nomi, aiutano a squarciare il velo di mistero che avvolge i Campi Flegrei e più spesso ad aprire i cancelli di sorveglianza di posti da vedere. Li racconta il documentario Mirabiles – I custodi del mito, di Alessandro Chetta e Marco Perillo, in programma in questi giorni al Napoli Film Festival. Siamo in luoghi di straordinarie bellezze naturali e vestigia storiche, tra Pozzuoli, Baia e Bacoli, abitati da quasi tremila anni che hanno alimentato leggende sconfinate (spiegando l’attività dei vulcani con l’operato degli dei) e ancora oggi incantevoli, nonostante la forte pressione demografica.

La pratica è nota e consolidata, chi vuol visitare Piscina Mirabilis, Grotta della Dragonara, Teatro romano, Tomba di Agrippina deve contattare i custodi, prendere accordi per telefono e farsi accompagnare dagli assuntori, pronti a spiegare vicende antiche e moderne e soddisfare le curiosità dei turisti. Lo fanno abitualmente per orgoglio e per passione (hanno un gettone annuale di 400 euro lordi) perché attaccati a quel territorio per radici familiari o esistenze quotidiane. Così Salvatore Greco, il guardiano della Grotta della Dragonara, una cisterna d’epoca romana che faceva parte di un complesso con peschiera, ninfeo e magazzini, in grado di spaziare dalla villa di Lucullo alla discarica abusiva ripulita una ventina d’anni fa, alimentando la fantasia con tutta l’evocazione del drago (da qui viene il nome del luogo) e del suo discendente povero, un’anguilla vecchiotta che ancora sguazza nella costruzione di tufo. O la nota Piscina Mirabilis, 48 pilastri che dividono in navate questo gioiello dell’acquedotto Augusteo, con la giovane Imma Lucci, nipote della storica custode del luogo, che si aggira tra le mura scolorite e sbrecciate ricordando il percorso di 98 chilometri dalle famose acque del Serino al mare.

L’anziano Giovanni Castiglia vigila sulla Tomba di Agrippina, riaperta solo saltuariamente, ma ha trascorso l’infanzia e da sempre ha curato il luogo, gestore di un piccolo ristorante sul molo, anche se le gouache dell’800 mostrano un panorama delizioso,purtroppo oggi tutto è in precarie condizioni, molti affreschi sono stati rovinati dall’umidità e tutto il complesso è pericolante. Anche Filippo D’Alessio è nato lì, in una casetta non distante dallo spiazzo da cui s’accede al Teatro Romano, altro posto di grande suggestione, già ricovero dei bacolesi minacciati dai bombardamenti alleati, e per anni spazio domestico dove si faceva il vino e le bottiglie di pomodoro, purtroppo vicino a una spiaggetta, densamente gremita d’estate. Naturalmente non poteva mancare la virgiliana porta degli Inferi, il lago d’Averno, vicino alla Grotta della Sibilla (da non confondersi con l’antro), struttura privata, curata amorevolmente da Carlo Santillo detto Caronte.