Rubriche come il «Divano» possono aspirare ai molti privilegi che conseguono, per solito, ad un impegno assunto a mente chiara e condotto con regolarità. Nel nostro caso si tratta della stesura di un breve scritto da consegnare a «il manifesto», con cadenza settimanale, ogni venerdì.

Il giornale, nel rispetto di un numero convenuto di battute, assicura al «Divano» uno spazio fisso e tale da mettere in evidenza la nota sin nella collocazione in pagina. Dà così accesso a una voce, quella del titolare della rubrica, che viene posta nella condizione di rendersi, pian piano, da una settimana all’altra, riconoscibile. Come, allora, questa puntuale voce, o si dica l’autore, si distingua e tenti di acquisire una sua riconoscibilità è la questione – per i suoi molti versi e sotto molti rispetti, non secondaria – che potremmo qui – almeno intorno a qualche punto di maggior consistenza – prendere a ragionare. Ma da dove iniziare? Discutere degli argomenti da affrontare, del linguaggio da adottare, del metodo da tenere? Punti, per certo, tutti essenziali e che è consigliabile non eludere. Ma ho scritto «potremmo prendere a ragionare»: prima persona plurale. Si tratta dunque di un ragionamento ad almeno due voci. E quali? L’estensore della rubrica, certo, e chi altro, con lui? Il lettore, suppongo: «Mister Livingstone, I suppose». Infatti, dopo dieci di queste note, ovvero dopo i primi dieci capitoletti del «Divano», è, forse, opportuno che l’autore si rivolga e interpelli l’ipotetico assiduo e diligente lettore, che presume abbia seguito regolarmente la rubrica.

Va da sé che un lettore ideale è sempre presente alla mente dell’estensore d’una, pur breve, nota settimanale a fissa periodicità. E lo è preventivamente.

Per il «Divano», l’autore si figura un lettore d’elezione al quale gli argomenti via via scelti sono, per così dire, dedicati. Pensa a un lettore che è a giorno degli argomenti trattati e che è, dunque, convocato proprio perché è in grado di esercitare una sua autonomia di giudizio. È così che – anche nella scelta dei temi, del linguaggio e dei criteri – quell’ideale lettore condiziona l’autore. Quando, beninteso, l’autore non voglia essere didascalico ed invece, per paradosso potremmo dire, accoglie come prezioso l’insegnamento che gli perviene dalle sollecitazioni del suo ideale lettore.

L’ideale lettore, a questa stregua, è sentito dall’estensore come il co-autore della sua nota settimanale. Dall’elenco dei testi apparsi nella rubrica, è possibile enucleare già due filoni di ricerca. Un ambito problematico è rivolto all’interrogazione su l’opera d’arte formulata non in generale, ma nella specificità peculiare di determinate realizzazioni (Dorfles, Abbati, Guadagnucci). Un secondo ambito può annoverare almeno tre note.
La prima, dedicata al saggio di Antonio de Giuliani su «le vicissitudini inevitabili delle società civili» e al concetto politico di «flusso e riflusso».

La seconda, relativa al «bisogno di libertà» che Pietro Ingrao, quando parla d’una politica che operi per un «allargamento dell’esistere», connette ad una «visione polimorfa delle cose e della soggettività».

La terza, che riflette su la «conversione ecologica» capace, secondo Francesco, di redimere dal vuoto interiore indotto da «uno stile di vita consumistico».

Il lettore ideale del «Divano» (o co-autore, abbiam detto), su questo versante e stando al presente dei processi in atto, avrebbe allora sollecitato l’estensore della rubrica a una considerazione critica delle culture politiche diffuse, invitandolo ad approfondire categorie quali corruzione, decadenza, complessità, crisi.