Il 4 giugno 1940 Winston Churchill dichiara: ‘li combatteremo sulle spiaggie, li combatteremo sui campi’. Diventa uno dei discorsi più famosi mai pronunciati da un politico inglese. In tempo di guerra, la sua arte oratoria trasmetteva un forte tono di sfida, ma in realtà era un ammissione della possibilità di una sconfitta. Si temeva un’invasione e in questo modo Churchill spronava gli inglesi a combattere fino alla fine. ‘Non ci arrenderemo mai!’ Ma allo stesso tempo non vinceremo neanche. E’ per questo che lottiamo sulle spiagge e nei campi, e poi dalle strade delle città fino alle colline.

Il fallimento è un posto confortevole per gli inglesi. I più grandi eroi britannici sono quelli che hanno “quasi” fatto qualcosa. Il Capitano Scott fu “quasi” il primo ad arrivare al Polo Sud, sconfitto da un norvegese e poi morto durante il viaggio di ritorno. Mallory e Irving quasi conquistarono l’Everest, forse ci riuscirono anche, ma morirono comunque. E’ per questo motivo che l’eroe più grande della guerra napoleonica fu Nelson. Sì, lui vinse la battaglia navale a Trafalgar ma ebbe il buon senso di morire nel momento della sua più grande vittoria, meritandosi così la piazza più famosa di Londra e una colonna tutta sua. Invece il Duca di Wellington – quell’arrogante che sconfisse Napoleone a Waterloo ma sopravvisse troppo a lungo – diede il nome agli stivali di gomma: i ‘wellies’. Due momenti simbolici della Seconda Guerra Mondiale furono il Blitz, durante il quale gli inglesi sopravvissero alle bombe della Luftwaffe e Dunkirk, che dà titolo e soggetto alla nuova pellicola di Christopher Nolan. Solo gli inglesi potevano celebrare un ritiro caotico e frettoloso con un film epico.

Un esempio più recente è del 1988, quando Matti Nykänen, vincendo i 70 e i 90 metri con il salto con gli sci ai giochi olimpici invernali di Calgary in Canada passa alla storia. Nykänen è il vincitore ed è pure finlandese – ha quindi ben poco da spartire con noi; ma all’ultimo posto nelle stesse gare c’è Eddie ‘The Eagle’ Edwards, un miope gessaio inglese che decide di provare il salto con gli sci dopo aver più volte tentato inutilmente di entrare nella squadra olimpica britannica di sci alpino. Con i suoi occhiali da Mr. Magoo, Eddie diventa una star dei giochi, amato dagli inglesi ma non solo, che vedono in lui lo spirito originale delle Olimpiadi. Durante la cerimonia di chiusura, il presidente del comitato olimpico Frank King disse: ‘alcuni concorrenti hanno vinto medaglie d’oro; alcuni hanno battuto dei record, e alcuni di voi hanno addirittura volato come un’aquila.’

Il nuovo film di Dexter Fletcher, Eddie the Eagle: Il coraggio della follia, racconta la sua storia con Taron Egerton nei panni di Edwards. Eddie è il santo folle, simpatico, senza alcuna cattiveria, coraggioso, che nonostante i numerosi svantaggi insegue il suo sogno con ottimismo imbattibile. Il biopic purtroppo segue una formula meno folle del suo soggetto ed assomiglia ad altri ritratti di perdenti vittoriosi come Full Monty, squattrinati organizzati o, all’altro estremo, Il Discorso del Re. C’è l’aggiunta dell’allenatore americano, Bronson (Hugh Jackman) che oltre ad offrire un tocco di fascino hollywoodiano dà anche un senso dell’ambiguità del successo. Se Eddie beve soltanto latte, per assicurarsi l’assunzione giornaliera di calcio, Bronson è un alcolista arrabbiato col suo vecchio allenatore (Christopher Walken), altro personaggio creato ad hoc per il film. L’americano impara da Eddie che anche un “quasi” fallimento totale può trasformarsi in un momento di gloria.