L’indagine dell’ispettorato del lavoro di Milano è durata un anno e mezzo, dal maggio del 2013 al dicembre 2014, e ha coinvolto decine di redattori precari che lavorano per i gruppi editoriali più grandi sul mercato italiano: Mondadori e Rcs Libri. Dopo avere raccolto e verificato le testimonianze di decine di professionisti, l’ispettorato ha decretato che in queste aziende esisteva una situazione di palese illegalità nella scelta dei contratti di lavoro utilizzati. Pur svolgendo un lavoro da redattori a tutti gli effetti, con una postazione di lavoro e incarichi ben definiti nell’ambito di una redazione, sono stati inquadrati come «falsi autonomi». Una situazione ben nota sin dalla riforma Fornero che cercò di imporre la trasformazione dei cocopro in contratti a tempo indeterminato, producendo tuttavia l’effetto opposto. L’ispettorato del lavoro ha imposto a Rcs e Mondadori di trasformare i contratti di collaborazione che rientrano in questa tipologia in contratti a tempo indeterminato.

È un risultato importante per chi, come la Rete Redattori Precari (Rerepre), è all’origine di questa indagine e ha interessato il responsabile della Slc Cgil di Milano, Francesco Aufieri. «È il riconoscimento che avevamo ragione – ha detto ieri Aufieri a Bibliocartina – I lavoratori precari svolgevano mansioni da dipendente a tutti gli effetti, e andavano trattati da dipendenti». Nell’accordo è previsto il riconoscimento dei contributi non versati durante gli anni di precariato.

Mondadori ha deciso di presentare ricorso contro il verdetto dell’Ispettorato. Rcs Libri, invece, si è impegnata a trasformare ventuno contratti a progetto in contratti a tempo indeterminato, a partire dal prossimo primo luglio. Sempre che ci sia ancora, e la fusione annunciata con Mondadori non cambi radicalmente le carte sul tavolo. I precari assunti saranno inquadrati con il contratto a tutele crescenti stabilito dal Jobs Act. Alla fine saranno diversamente precari, ma almeno non completamente reietti.

Quella di Rerepre è una delle prime esperienze di auto-organizzazione nel precariato editoriale in Italia. Dal 2008 ha fatto inchiesta e informato sull’indicibile nel lavoro editoriale. I precari esistono e lavorano dappertutto. Sono fondamentali per la realizzazione dei prodotti e per tenere insieme il sistema. E tuttavia non vengono riconosciuti. Non hanno diritti. Con il sindacato dei traduttori editoriali Strade, l’associazione italiana dei traduttori (Aiti), Rerepre ha partecipato al percorso che ha portato al rinnovo del contratto dei grafici-editoriali.

Cosa più importante, ha collaborato a cambiare l’atteggiamento di Slc Cgil che lo ha sottoscritto e oggi garantisce l’assistenza sanitaria integrativa e il compenso minimo a 250 mila persone tra redattori, traduttori, attori e altre professioni atipiche. È l’attività del nuovo sindacalismo. A tutto tondo.

«Il fatto che l’ispettorato abbia stabilito il precedente per cui il redattore precario è una figura chiave in una redazione è una vittoria – sostiene Simona di Rerepre – Ma è una vittoria zoppa perché le ispezioni sono avvenute a maggio 2013. Dopo la riforma Fornero molti hanno perso il contratto. Ci dispiace molto. Il nostro obiettivo è far emergere il precariato fasullo nell’editoria. Ci siamo riusciti».

Il racconto di Simona è uno squarcio sulle difficoltà incontrate da chi oggi organizza il lavoro precario: «In ambito editoriale o giornalistico – afferma – il problema è accettare qualsiasi condizione lavorativa, senza opporsi, né solidarizzare con i colleghi. Così è difficile fare massa critica utile per cambiare le cose». Anche per questo Rerepre ha ricevuto critiche ed è stata ostacolata. «Il paradosso – continua Simona – è che tra gli assunti, tranne una, non c’è nessuno che stia in Rerepre. Ci preme dirlo, il limite sta nell’abitudine a delegare e a non agire in prima persona».

E ora cosa farà Rerepre? «Ci stiamo contando – risponde Simona – molti di noi, me inclusa, non abbiamo avuto contratti in redazione, hanno cambiato mestiere o paese. C’è molto da fare: bisogna pensare al lavoro autonomo, all’estensione delle tutele, creare un tariffario editoriale per non soccombere tra studi editoriali e editori che non pagano. Bisogna capire se ci sono le energie».