Nella società post-industriale e globale nella quale viviamo riemerge con prepotenza il ruolo pubblico degli stati d’animo e, soprattutto, il loro riconoscimento sociale e politico. Mentre le grandi narrazioni che hanno segnato la modernità erano essenzialmente razionaliste, la cultura contemporanea risulta segnata dalle pulsioni di pancia e dalla messa in scena degli aspetti più compulsivi del comportamento pubblico – il reality show nel quale si piange molto per qualunque cosa, è la dimensione tipica di questa orgia incontrollata dell’emozionale.

I SENTIMENTI si differenziano dalle emozioni: mentre i primi sono duraturi, le seconde sono contingenti.
Nella vita quotidiana, le emozioni con i loro legami deboli hanno preso il sopravvento sui sentimenti con i loro legami forti: ad esempio, la ricerca di sempre nuove emozioni ed esperienze caratterizza la «liquidità» degli amori contemporanei contrapposti, nella loro evanescenza e altissima passionalità, ai rassicuranti rapporti di coppia a vita, tipici di un paio di generazioni fa. Eppure è dalla riproduzione continua di determinate emozioni che si consolidano e si istituzionalizzano nel corpo sociale i sentimenti collettivi: quelli nati dalla compulsività contemporanea tendono ad essere segnati dal senso dell’incontrollabilità. È in questo quadro che si sviluppa il libro di Carlo Bordoni Stato di paura (Castelvecchi, pp. 189, euro 17,50).

Ricollegandosi direttamente alle analisi di Zygmunt Bauman, l’autore analizza il ruolo e le diverse forme assunte dalla paura nelle dinamiche socioculturali contemporanee. Un sentimento ormai diventato la più importante risorsa politica in tutte le società. Partendo dalla distinzione tra Phobos (la paura cieca e istintiva) e Deinos (la paura che nasce da un pericolo identificato e identificabile), tutto il volume si gioca su due temi.

IL PRIMO È DATO da quella precarietà esistenziale generata dalla globalizzazione e dai suoi meccanismi tipici (dalla flessibilità del mercato del lavoro sino ai format mediatici, passando per il riesplodere del terrorismo) che diffondono e riproducono Phobos nella vita di ciascuno di noi: il prezzo da pagare per una maggiore libertà (teorica) è l’insicurezza generalizzata, con la contro-tendenza ad invocare inutili ed inedite soluzioni autoritarie per porvi rimedio.
Paradossalmente, in un mondo liquido solo la paura cieca e onnipresente si radica. Il secondo tema del libro è dato dalla costante rimozione del senso del Phobos a favore della sua trasposizione pubblica in una paura razionalizzata (Deinos) e, dunque, presentata dalle autorità politiche come prevenibile e controllabile. Tuttavia, la realtà, tanto della vita quotidiana e delle dinamiche politiche globali quanto di una natura violentata dall’azione dell’uomo, si incarica di mostrare che pericoli, minacce e rischi (non sempre adeguatamente distinti da Bordoni nella sua analisi) eccedono sempre questo tentativo di controllo.

Lo «stato» di paura del quale parla il libro è tanto lo Stato in senso politico, come organizzazione che si basa su questa dialettica tra tentativo di razionalizzazione della paura e suo continuo superamento, tanto lo stato inteso come condizione socio-esistenziale. L’interrogativo posto da Bordoni che segue questo fondamentale legame tra quotidianità e politico nelle pieghe delle nostre città invase dai rifiuti, nella violenza del terrorismo e della guerra, nell’instabilità delle carriere lavorative, è semplice e altrettanto ansiogeno del suo «oggetto»: la paura endemica sta aprendo le porte ad una sorta di mitico (e perciò ingannevole) ritorno al passato delle forme politico-sociali?

DI FRONTE ad una globalizzazione sempre più identificata con la precarietà i ceti popolari e le classi medie impoverite sembrano cedere nuovamente alla seduzione di quei leader che promettono di restaurare (con un’operazione che non può non essere per definizione «reazionaria») le antiche certezze date dai confini nazionali, dalle barriere doganali, dalla xenofobia e da una cultura omogenea. Ma i muri che ovunque si stanno rialzando in Europa e negli Stati Uniti non sono a loro volta dei moltiplicatori di paura? Nel momento in cui mostrano tutta la loro inefficacia non rischiano solo di convincerci ad abdicare alle nostre libertà e diritti, in nome di un nuovo e ancor più forte Stato (in senso politico) di paura? Tutti interrogativi che il bel lavoro di Bordoni ci mette davanti come principali urgenze del mondo contemporaneo.