Quasi otto anni sono stati necessari per realizzare questo doc su Kurt Cobain in sala solo ieri e oggi, scelta che, a fronte dei milioni di dischi venduti dai Nirvana, ci sembra un tantino miope. Kurt Cobain: Montage of Heck (il titolo deriva da un collage sonoro creato dal musicista) è un oggetto irritante. Da un lato offre materiali mai visti, relativi soprattutto alla sfera familiare, dall’altro si presenta, in maniera abbastanza diretta ma anche ambigua, come ritratto «intimo» di Cobain. Brett Morgen, il regista, nel corso di una breve chiacchierata, ha insistito molto sulle presunte novità che il film apporterebbe al personaggio Cobain. Il suo terrore di essere ridicolizzato o rigettato, per esempio, come chiave per accedere a un cuore devastato. In realtà il film si situa nella linea del rockumentary più canonico.

La struttura alterna teste parlanti a materiali d’archivio, insertando anche discutibili disegni animati che fanno tanto «trip» lisergico. Il tutto come in una parodia involontaria di quello che il pubblico immagina sia un documentario «rock».

Prodotto anche da Frances Bean Cobain, che vi appare neonata, Kurt Cobain, è un biodoc autorizzato. E per questo suscita più interrogativi che ammirazione. Premesso che la pulsione a volere rovistare nell’intimità di un uomo che non può più difendersi ci appare addirittura pornografica, la posizione di Morgen, aspirante autore di un ritratto umano inedito, ci sembra discutibile. Anche chi conosce solo superficialmente Kurt Cobain e i Nirvana sa che per il musicista la sua band era tutto. Il suo sogno era di diventare come Neil Young: invecchiare con la sua musica. Continuare a suonarla sempre. Invece l’elemento che Morgen elimina subito dal suo racconto è proprio la musica, senza però avere il coraggio di rinunciare a utilizzarla come decorazione sonora con Smells Like Teen Spirit a farla da padrone.
Il passaggio da adolescente di provincia che adora il film Over the Edge di Jonathan Kaplan a musicista è giustificato dal minimo comune denominatore che unisce il ribelle Kurt a una musica «ribelle» come il punk. In questo senso il film non solo con l’alibi di essere un film autorizzato sfrutta il nome di Cobain per un «pugno» di royalties, ma non gli rende nemmeno l’onore di riconoscerlo come musicista. L’unico dei Nirvana che appare, abbastanza a disagio (almeno così sembra), è Krist Novoselich. Dave Grohl, stando a Morgen, era impegnato, e in montaggio il regista si è reso conto che la sua presenza non era necessaria: una star come Grohl avrebbe sottratto spazio a Cobain.

Courtney Love, la quale Morgen ci tiene a far sapere non ha avuto influenza sul montaggio finale, ci racconta di nuovo la sua versione di Kurt, maniaco depressivo tormentato da pulsioni suicide. Certo le immagini del «lost weekend» di Kurt & Courtney sono abbastanza impressionanti, ma nella nostra percezione di Cobain non sarebbe cambiato nulla se non le avessimo mai viste. Così come non avevamo bisogno che Love dichiarasse per l’ennesima volta che Kurt voleva stare solo in casa a bucarsi. Che bucarsi faceva parte delle sue aspirazioni esistenziali. Insomma: che si giochi sporco è evidente anche al più sprovveduto dei cronisti rock. Kurt Cobain: Montage of Heck è un film a uso e consumo dei sopravvissuti e di chi, come Frances Bean, all’epoca troppo piccola, oggi corre alla cassa. Il film di Morgen sta a Cobain come il doc di Kevin MacDonald sta a Bob Marley. Kurt Cobain, il musicista, non abita qui. Se non è revisionismo, poco ci manca.