Saranno le banche uno degli argomenti più caldi per il nostro Paese nei prossimi mesi: lo conferma la bufera che è tornata a soffiare su Monte dei Paschi, e insieme la grande evidenza che il Financial Times ha dato ieri all’argomento, mettendo in apertura di prima pagina «la sfida di Renzi a Bruxelles». Il titolo della banca senese ieri è sceso ai minimi storici, sotto i 33 centesimi, trascinando giù tutto il listino bancario, e più in particolare Bper e Intesa Sanpaolo. La causa scatenante: la notizia che qualche settimana fa, proprio alla vigilia del referendum britannico sulla Brexit, la Bce aveva inviato una lettera molto dura all’istituto.

La Bce chiede in sostanza di accelerare il piano di progressiva dismissione dei crediti deteriorati che si trovano nella pancia di Mps: nei prossimi tre anni dovrebbe scendere da 24 miliardi a 14, liberandosi insomma di 10 miliardi di prodotti tossici. Una richiesta non facile da ottemperare, se si pensa che il già severo progetto varato dallo stesso istituto senese puntava a scaricare solo 3,5 miliardi entro il 2018. Un’azione traumatica potrebbe portare a uno sbilancio per 3 miliardi di euro, ben tre volte l’attuale capitalizzazione di Borsa (circa 1,2 miliardi), e ricapitalizzare dopo le ripetute iniezioni già ricevute negli ultimi anni e visto che lo stesso fondo Atlante è in cerca di liquidi, non è certo operazione semplice.

Lo stesso premier Renzi due giorni fa ha escluso nuovi interventi pubblici su Mps, dicendo di preferire «un’operazione di mercato», ma sa di muoversi in un terreno minato, in quanto Montepaschi potrebbe aprire un nuovo caso simile a quello delle quattro banche, anche più grosso, che sarebbe letale per il suo consenso (tanto più se unito al difficile passaggio del referendum di ottobre). Va tenuto conto, infatti, che anche Mps ha i suoi obbligazionisti, e sono pure tanti: si calcola che i titoli subordinati in mano a circa 60 mila dei suoi piccoli azionisti siano pari a 5 miliardi di euro.

Possiamo solo immaginare cosa potrebbe accadere in caso che questi risparmiatori fossero chiamati a ripianare eventuali debiti in base alle regole del bail-in: un rischio economico forte per loro, ma anche una nuova ondata di proteste che il governo non potrebbe reggere. Per questo Renzi, come sottolinea lo stesso Financial Times, avrebbe individuato nel nodo banche un’assoluta urgenza da risolvere, a costo – appunto – di «sfidare l’Europa».

Cosa riuscirà a fare esattamente non è dato sapere, anche se è chiaro che dopo il Niet di Angela Merkel qualche giorno fa (alla possibilità di immettere soldi pubblici nel sistema), le trattative con Bruxelles sono comunque andate avanti. «L’Italia – scrive il quotidiano finanziario – è pronta a sfidare la Ue e a iniettare unilateralmente miliardi di euro nel suo sistema bancario se dovesse trovarsi di fronte a segnali di crisi sistemica: una mossa che manderebbe in frantumi il nuovo set di regole deciso dall’Unione».

Non sarebbe una Brexit, certo, ma almeno secondo il Financial Times «l’Italia è il punto più vulnerabile d’Europa, dopo la Brexit». Ed «è impossibile sapere – prosegue il Ft – come andranno a finire gli stress test bancari, i cui risultati saranno resi noti il 31 luglio, e il referendum costituzionale di ottobre, le cui conseguenze sulla stabilità dell’economia del Paese sono state mostrate chiaramente da Confindustria e da gruppi bancari come Citi» (Confindustria ha più volte invitato a votare Sì, per sostenere la stabilità ed evitare traumi all’Italia, è la giustificazione, ndr).

Sul tema delle banche, il presidente del consiglio è tornato parlando ieri alla direzione del Pd: «Salvare i correntisti non significa fare gli interessi delle lobby, dei poteri forti», ha detto il premier e segretario del Partito democratico. Ha poi aggiunto di «aver fatto tutto ciò che serviva», di aver tolto «la politica dalle banche»: «Ho chiuso le primarie del 2012 a Siena dicendo che non mi sarei occupato delle nomine». Ma proprio sulle banche si gioca buona parte del suo destino.