A prima vista poteva sembrare la ricerca di un buon posto a Bruxelles per Mario Monti, che non ha dimostrato di saperci fare né come presidente del consiglio né come leader del suo partito personale. Si era fatto disegnare da un grafico di grido perfino lo stemma e i volantini della sua formazione politica, ma per tenere in piedi i partiti ci vogliono soprattutto i voti, e quelli Monti non li ha saputi trovare. Allora gli hanno dato una buona sistemazione a Bruxelles, nell’Unione europea (lui si ricorderà di esserne grato), con la nomina a presidente dello High-Level Group on Own Resources, ossia super ministro europeo del tesoro: per semplificare il discorso, chiameremo questo organismo il «fondo».

Si tratta naturalmente di una carica concordata fra i governi, che non ha avuto bisogno di alcun voto popolare: ma questa non è un’eccezione per le alte cariche comunitarie. La recentissima decisione dell’Ue – i giornali hanno cominciato a preparare il terreno accennandone, ma senza chiarire bene di quale operazione effettivamente si tratta – è quella di dare a Mario Monti, con quella carica, il compito di reperire e gestire fondi, fatti venire dagli stati membri, al fine di utilizzarli per far fronte a improvvise esigenze finanziarie, dei singoli membri o della stessa Ue.

Naturalmente la discrezionalità, e perciò il potere effettivo del presidente di questo organismo, saranno molto vasti e difficilmente sindacabili.

Questa trovata aveva incominciato a prender forma alle prime avvisaglie di difficoltà finanziarie da parte di qualche paese membro della Ue. La nomina di Monti invece è stata concordata fra il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, e l’onnipotente ministro dell’economia tedesco, Wolfgang Schäuble. Essa è del febbraio 2014. I compiti del «fondo» si sono quindi perfezionati proprio nel corso della crisi greca, e perciò la nomina di Monti, che poteva apparire inizialmente come un contentino all’Italia e allo stesso designato, sono venuti invece a precisarsi meglio, e a potenziarsi fortemente, proprio quando si è avvertita la necessità di disporre di un vero e proprio super-ministro europeo dell’economia.

Questo nuovo organismo potrebbe affiancarsi, quando ciò fosse ritenuto opportuno, all’onnipotente presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Su questo potrebbero tuttavia sorgere dei problemi in futuro, perché l’affidamento a personalità italiane di entrambe quelle alte cariche, appare destinato ad apparire inopportuno.

Il problema vero dell’istituzione del «fondo» non dovrebbe tardare a manifestarsi. Infatti questo organismo, per funzionare, avrà bisogno di risorse finanziarie assai ingenti: da reperire evidentemente fra gli stati membri della Ue.

Non si fa mistero che tali risorse verranno da una parte della tassazione riscossa dai singoli paesi membri (Iva, Irpef e simili). Questo meccanismo, mentre darà un potere reale – molto forte – al presidente del «fondo», potrebbe essere anche la premessa per forti tensioni con i titolari dei ministeri economici dei singoli stati (in Italia, Pier Carlo Padoan), i quali vedrebbero scemare sempre più il proprio potere.

Un altro problema, del quale non si parla, sarà quello di dotare il «fondo» di ingenti risorse finanziarie. Esse saranno reperibili soltanto attraverso nuove forme di tassazione, per le quali si potranno anche trovare delle definizioni sempre più fantasiose, ma sempre nuove tasse saranno, e in Italia non se ne sente proprio il bisogno, avendo il nostro paese uno dei livelli di tassazione più elevati. Ma il presidente del consiglio Matteo Renzi, non sta promettendo di ridurre le tasse?

Tutto questo succede perché il dire chiaro e tondo che il salvataggio della Grecia – affogata anche per il mancato intervento europeo quando la crisi non aveva ancora dimensioni devastanti – costerà parecchio.

E non è affatto detto che altre crisi non possano venire: guardando bene alla situazione di alcuni membri della Ue, qualche avvisaglia si vede già. Siccome il sistema degli stati europei resta sempre quello di non voler appesantire la posizione fiscale dei ceti più abbienti e di non voler affrontare seriamente il problema dell’evasione fiscale, che in qualche stato (Italia, per esempio) è grave, la soluzione sarà sempre quella di spalmare, anche con formule nuove e sempre più fantasiose, il carico fiscale sui redditi meno elevati.