“Siamo fiduciosi nel nuovo corso di Mps, anche perché il gruppo non poteva diventare un ring dove si combatteva per fini che esulavano dal rilancio dell’azienda”. Le parole di Lando Sileoni, leader del sindacato dei bancari Fabi, certificano che il Monte dei Paschi va avanti con il piano Jp Morgan (e governo), e che la tentata scalata a Rocca Salimbeni da parte di Corrado Passera dovrebbe finire in archivio. Il condizionale è comunque d’obbligo, perché l’ottovolante del titolo Mps, con rialzi e ribassi indegni per il terzo gruppo bancario italiano, è destinato a continuare almeno fino al 24 novembre. Giorno in cui l’assemblea degli azionisti dovrà dire una parola definitiva sull’operazione che prevede un aumento di capitale fino a 5 miliardi. Con in parallelo il “deconsolidamento dal bilancio di 27,6 miliardi di crediti in sofferenza”. Ceduti al veicolo di cartolarizzazione Sec.Co a un prezzo di 9,1 miliardi, in altre parole al 33% del valore nominale, e con la contestuale assegnazione delle junior notes agli attuali azionisti del Monte.

Nel nuovo piano industriale della banca, almeno dal poco fatto sapere dal nuovo ad Marco Morelli, non ci sono grandi novità. Anche per questo le azioni Mps sono finite in asta di volatilità e poi in ribasso (-15%), con il titolo tornato sotto i 30 centesimi dopo che nell’ultima settimana era passato dai 17 ai 34 centesimi. Sempre una miseria, s’intende, visto che nel solo 2016 le azioni hanno perso il 76% del valore. Addirittura hanno perso il 99% dal 2008 ad oggi, nonostante che da allora siano stati pompati ben 16 miliardi in una banca che, per il “sistema”, sarebbe stato assai più salutare, così come aveva chiesto già nel 2013 la Sinistra per Siena, nazionalizzare almeno temporaneamente.

Dei piani di Passera qualcosa comunque resta. “Un esercizio potenziale di conversione dei bond – spiega l’ad Morelli – su base volontaria”. Una mossa che fa capire quanto lo stesso board del Monte reputi difficoltoso trovare tutti i 5 miliardi della ricapitalizzazione. Quindi si tende la mano ai grandi investitori perché trasformino le obbligazioni in loro possesso in nuove azioni della banca – che saranno raggruppate nel rapporto di una a cento – in modo da ridurre di circa la metà i capitali “freschi” per la ricapitalizzazione.

Comunque vada, l’unica certezza è che sul ponte di comando intende restare, con l’appoggio del governo, Morelli. Che ha avuto anche il via libera dei sindacati interni: il coordinamento sindacale del gruppo Mps registra senza bocciarlo che il piano industriale prevede nel periodo 2017 -19 circa 2.900 esuberi, 1.400 dei quali restanti dal vecchio piano Viola, “comprensivi delle uscite naturali e del turnover”, e circa 300 assunzioni. Chiede comunque “che la gestione degli esuberi avvenga in maniera esclusiva con l’utilizzo del Fondo di sostegno al reddito su base volontaria”. Saranno chiusi 500 sportelli sui 2.000 complessivi della banca, e sarà varata una riorganizzazione interna di cui il Monte sembra aver gran bisogno: nei primi 9 mesi dell’anno Mps ha registrato infatti 849 milioni di deficit, comprensivi di 750 milioni di rettifiche sui crediti inesigibili. Le ennesime rettifiche, arrivate a ben 2 miliardi nel solo 2016.