Due intellettuali che i media dipingono agli antipodi, ma che in questo serrato dialogo scoprono di avere più i punti in comune che differenze. Il primo è considerato il grande vecchio europeo del pensiero della complessità, che dichiara sin dalle prime battute fedeltà alla trinità – libertà, uguaglianza e fraternità – della Rivoluzione francese; e dell’illuminismo, lo sfondo sui quali entrambi si collocano. Il secondo afferma perentoriamente che ogni identità culturale o religiosa non può prescindere proprio dal fare proprie quelle tre parole, le uniche coordinate di una possibile presenza politica degli islamici in Europa.

Va dunque dato merito alla casa editrice Erickson per aver tradotto l’incontro-dialogo tra Edgar Morin e Tariq Ramadan (Il pericolo delle idee, pp. 271, euro 17,50), perché è un libro che aiuta a capire quale possa essere il terreno di incontro tra un illuminista radicale e un teologo islamico che ha fatto molto parlare di sé per le sue prese di posizione a favore di una identità islamica distinta da quella di altri credenti e non credenti nati nel vecchio continente.

Tariq Ramadan è stato infatti descritto come un sulfureo intellettuale che in maniera mimetica si schierava a favore di un islam politico radicale. Da quanto emerge da questo libro niente di più lontano dalle sue parole. La democrazia politica è difesa da Ramadan, anche se ne sottolinea i limiti quanto nelle società vengono imposte per legge norme che stridono con le convinzioni di chi, islamico per convinzione religiosa, ma francese, svizzero, tedesco, italiano per scelta. La tolleranza dovrebbe essere la bussola che regola la rotta politica dei governi nazionali e dell’Unione europea, sostiene Ramadan. Questo non significa che la possibilità di indossare il velo da parte delle donne debba essere una scelta che non strida con le leggi dominanti. E anche sulla separazione tra religione e politica Ramadan è netto: sono ambiti distinti e la prima non dovrebbe mai invadere il campo della seconda, anche se per un islamico il rispetto del Corano è condizione indispensabile per la sua presenza nella scena pubblica. Dunque prese di posizioni che nulla hanno a che fare con la figura descritta dai media del teologo islamico. Anzi, Ramadan ripete continuamente che l’islam è una weltashauung sempre in divenire, perché è un sistema di valori che non prescinde mai dall’adesione a un principio di realtà. Da questo punto di vista, Ramadan si presenta come un innovatore, un riformatore, che vede nell’islam politico radicale un ostacolo alla piena cittadinanza degli islamici che vivono o sono nati nel vecchio continente.

/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2015/04/28/29clt2bassa21
/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2015/04/28/29clt2bassa21

Certo nel volume Edgar Morin incalza, chiede precisazioni, ma non sono poche le pagine dove la conversazione tra i due intellettuali ripetono di essere in piena sintonia.

Eppure i temi del dialogo non sono «neutri». C’è ovviamente il nodo di come l’Islam vede il ruolo delle donne. I due intellettuali, maschi, hanno una conoscenza certo non profonda del pensiero femminista continentale, ma entrambi si dichiarano per una piena emancipazione delle donne. Anzi, Tariq Ramadan è il più netto. Una società che non fa propria la «differenza» delle donne nel pensare le relazioni sociali è una società «mutilata» di una parte delle sue potenzialità. Dunque nessuna indulgenza verso chi vuol imporre il velo alle donne. Morin non può che concordare con il suo interlocutore.
L’andamento è lo stesso quando il tema affrontato è la costituzione dell’Europa politica. Entrambi sottolineano che il processo costituzione si è interrotto e che il potere decisionale è nelle mani di un gruppo di tecnocrati che non vogliono certo sottostare a quel principio democratico che è il controllo delle loro azioni. Ma anche qui, pieno consenso tra i due: la loro scelta europeista non è mai messa in discussione, anche se questo non significa la rinuncia alla critica del carattere tecnocratico e antidemocratico che caratterizza l’attuale processo di costituzione europeo. Stesso tenore è il giudizio sulla globalizzazione. Un processo irreversibile, dal quale non è possibile immaginare un ritorno al passato, ma da qui alla rinuncia alla critica agli idolatri del libero mercato ce ne corre. Anzi Ramadan, con un vezzo autoreferenziale, ricorda che si può parlare di islamici europei proprio grazie alla mobilità di uomini e donne resa possibile dalla globalizzazione.

Sulla secolarizzazione delle società Morin non può che salutarla positivamente. Per il filosofo francese la religione è un fatto privato. Ramadan non fa fatica ad ammettere che le società europee sono società secolarizzate, anche se invita a riflettere il f atto che la fede è un fatto collettivo e che in quelle stesse società secolarizzate la religione è vista come una risposta alle inquietudini e ai processi disgregativi del legame sociale attivati dall’economia del libero mercato.
La parte più intensa del volume è quella dedicata alla «questione palestinese». Per Tariq Ramadan è scontata l’adesione alle rivendicazioni dei palestinesi di formare un loro stato e che Israele deve tornare ai confini precedenti al 1967. Per Edgar Morin, il discorso è più articolato.Anche se laico e non credente non rimuove la sua origine ebraica. È un uomo che ha fatto esperienza dell’antisemitismo e sa che è in Europa che si è consumata la Shoah. Si dichiara solidale con i palestinesi e usa parole dure contro l’occupazione israeliana, anche se afferma, una presa di posizione forse indigesta per un cosmopolita, che tanto i palestinesi che gli israeliani hanno diritto ognuno a un loro stato.

Un libro dunque in difesa della libera circolazione delle idee, il pericolo che gli intolleranti e gli integralisti di ogni risma vedono come un virus che corrode il loro potere fondato sui pregiudizi e sull’intolleranza.