La morte di Antonin Scalia rappresenta un fatto politicamente epocale la cui portata politica è ingigantita in quest’anno elettorale già caotico e contenzioso. La nomina di un giurato per sostituire Scalia è una battaglia cruciale che potrebbe determinare gli equilibri ideologici e le politiche degli Stati uniti per molti anni a venire. In Usa la cassazione è terzo ramo di governo con un ruolo operativo e decisivo nell’indirizzare e limitare le azioni di governo e parlamento interpretandone la costituzionalità. Le sentenze della Supreme Court sono così state determinanti in tutte le maggiori svolte civili e riformiste del paese che nell’ultimo mezzo secolo hanno compreso la desegregazione del sud, il voting rights act, la affirmative action e la protezioni delle minoranze: donne, neri e gay.

Nominato alla corte suprema da Ronald Reagan nel 1986, Scalia è stato un alfiere senza pari della destra prolungando di fatto l’ombra del reaganismo sui tre successivi decenni. Fautore di una reazione arcigna non ha perso mai occasione per articolare posizioni di assoluto e intransigente conservatorismo. Il togato italoamericano ha personificato una pesante zavorra reazionaria sulla corte costituzionale e una diga inamovibile al progresso sociale su, fra gli altri, porto d’armi, aborto, matrimoni gay e pena di morte. Su quest’ultima pronunciò l’impagabile valutazione: «La mera innocenza di fatto non costituisce impedimento all’esecuzione di una condanna regolarmente emessa».

La sua scomparsa, durante un’elezione che si profilava già come referendum sull’obamismo e, per i repubblicani, un tentativo di restaurazione per arginare l’impeto riformista, ha ora l’effetto della benzina spruzzata su un scontro ideologico già titanico. Immediata infatti è stata l’alzata di scudi dei repubblicani contro una nuova nomina di Obama. Non era passata mezz’ora dalla notizia, che il leader della maggioranza parlamentare Mitch McConnell diffidava pubblicamente Obama dallo scegliere un nuovo giudice supremo. Secondo I candidati presidenziali Gop che gli hanno fatto eco unanime, sarebbe «cattiva forma tentare di impadronirsi» della corte nominando un giudice liberale. La facoltà dovrebbe invece essere volontariamente lasciata al prossimo presidente,

Un ragionamento che ignora non solo il tanto perorato rispetto per la lettera della costituzione, ma anche il fatto che dal 1960 i presidenti repubblicani hanno scelto 13 togati contro gli 8 dei democratici. Ma i conservatori sono disposti a tutto per mantenere il controllo ideologico sulla corte (con Scalia era conservatrice per 5-4). La corte suprema rappresenta infatti uno strumento imprescindibile per mantenere il potere politico sullo sfondo di una società la cui naturale tendenza culturale e demografica è di allontanarsi dal partito repubblicano. Il forfait volontario viene reclamato da una destra che ovviamente mai penserebbe a fare lo stesso, infatti il quarto giudice nominato alla corte dallo stesso Reagan venne confermato nell’ultimo anno del suo mandato.

La questione della Corte suprema è tanto più cruciale dal momento in cui determinerà le sorti delle molteplici executive actions intraprese da Obama per aggirare l’ostruzionismo totale dei repubblicani in congresso. Solo la scorsa settimana la corte, col voto di Scalia, aveva congelato le nuove normative anti inquinamento introdotte da Obama ad agosto. Le prossime sentenze dei giudici riguarderanno da vicino della legacy del presidente: dall’embargo cubano al trattato di non proliferazione con l’Iran alla riforma sanitaria, l’amnistia agli immigrati e la ratifica del trattato di Parigi sul clima.

In questo contesto Obama ha dichiarato l’intenzione a procedere “a tempo dovuto” con una nuova nomina come da mandato costituzionale. Nella rosa di possibili candidati che già circola a Washington ci sono un giudice d’appello di origini indiane, una donna di famiglia vietnamita, un afro-americano, una giurista bisessuale – una serie di opzioni conformi cioè, oltre all’indirizzo ideologico, anche al programma di diversificazione delle istituzioni caro al presidente e che per la stessa ragione garantiscono il filibuster ad oltranza dei repubblicani. È assicurato quindi uno scontro simbolico dall’enorme portata politica sulle elezioni che da adesso aggiudicheranno non solo il controllo della casa bianca ma quello altrettanto importante – e più duraturo – sull’anima ideologica del paese.